La strage e la ricerca di verità, diciottenni a lezione di vita

MANTOVA. È raro il silenzio assoluto in una sala affollata da 120 neo diciottenni, ma c’era da trattenere il respiro, ieri mattina, davanti al racconto di uno degli scampati alla strage di piazza della Loggia di Brescia. Manlio Milani, per una fatalità, una manciata di passi di distanza, non ha perso la vita ma ha perso la giovane moglie Livia e alcuni amici che, come tanti, partecipavano a una manifestazione antifascista. Da quel momento (erano le 10.15 del 28 maggio 1974) non ha mai smesso di «cercare la verità» sul perché di quegli otto morti in uno degli attentati di matrice neofascista che ha richiesto undici processi e quarantuno anni per arrivare a stabilirla. Il pubblico in sala delle Capriate era formato dalle ragazze e ragazzi delle sei classi quinte del liceo scientifico Belfiore, riunito dalla dirigente Cristina Patria, dal professor Roberto Melli, dalla ex docente Carla Bignotti, e salutati dalle assessore Serena Pedrazzoli e Alessandra Riccadonna, in occasione del loro “battesimo civico”. Assieme al dono di una copia della Costituzione, l’istituto ha voluto fornire ben di più: l’esempio del valore dell’impegno civico per la difesa della democrazia, portato da Manlio Milani e assieme a lui da Domenico Apicella che fu pubblico ministero in una delle prime tappe dell’intricata e oscura storia processuale iniziata in epoca di strategia della tensione e terminata pochi anni fa. «Quel processo ha segnato la mia esistenza: ho studiato le carte processuali, tutte scritte a mano, faldoni che occupavano le pareti di una grande stanza e sono rimasto inorridito perché delineavano una costruzione avulsa dalla realtà» ha esordito il magistrato, già procuratore della pretura di Mantova, che ricevette minacce che tutt’ora lo costringono a una vita di cautele. Ma la ricerca di verità e giustizia è un’aspirazione che, anche a costo di grandi sacrifici, va perseguita: questo il messaggio lanciato ai giovani pronti a varcare la soglia della maggiore età. «Se rinascessi rifarei il magistrato e nello stesso modo», l’incoraggiamento di Apicella mentre Milani, rispondendo alle domande, ha concluso: «Sì, il grande dolore ha generato in me rabbia e momenti di scoramento e persino di vendetta, poi prevale la convinzione che perseguire l’interesse comune è più importante». E gli applausi della sala hanno sostituito il silenzio.