Ancora omicidi, più tensione e tutti i tempi di un crime serrato, ma sempre trattando il complesso tema della finanza non come semplice sfondo o motore meccanico dell'azione, Diavoli 2 torna e alza di nuovo l'asticella rispetto a quello che si può chiedere a una serie che racconta l'economia. Migliorarsi a una seconda stagione è l'ambizione di ogni titolo, ma quando un progetto ha grossi elementi di originalità fin dall'inizio, l'impresa è più difficile. Diavoli 2 porta a casa il risultato confermandosi una serie rilevante “che tratta temi nell’agenda [umana e politica] come il controllo dei dati, la privacy, incrociando questi ambiti con la finanza all'interno di iniziative transnazionali che si ripercuotono nelle vite di tutti”, come precisa subito durante il suo lancio Sonia Rovai, Senior Director Original Production Sky Italia. L'unicità del prodotto parte da qui, dalla capacità di intercettare il presente e le discussioni che lo animano attraverso uno dei suoi aspetti più ostici, per chi non mastica parole e concetti dell'economia, ma i punti di forza sono tanti, per comprendere appieno il successo di uno show che riscuote lo stesso entusiasmo nel pubblico generalista e nella critica.

Il dialogo continuo tra i protagonisti e la writers' room dentro un progetto che si vuole condiviso e “responsabile”

Come sottolinea Luca Bernabei, CEO di Lux Vide, mentre “Guido Maria Brera regala un grande frame”, Alessandro Borghi e Patrick Dempsey, entrambi appassionati anche quando si tratta di informarsi su politica ed economia, immersi in questo mondo per la serie, ne sono diventati in qualche modo esperti. La forza delle loro interpretazioni nasce anche dal fatto di essere riusciti a introiettare e metabolizzare questo tipo di sapere e lo hanno fatto così bene che “gli studenti di economia sono entusiasti di Diavoli” perché riflette in modo credibile quello che è il loro pane quotidiano e il loro futuro. 
La chimica degli attori nasce anche da questo, dalle discussioni con chi scrive le loro battute e la trama. Borghi sottolinea come, durante e dopo Covid, ci fosse bisogno di “tornare a fare squadra e a scambiare idee”, Dempsey rivela che in questi momenti di confronto e condivisione al collega “brillano gli occhi” e aggiunge: “Ci sentiamo un team, c'e volontà di lavorare insieme, discutiamo e ci coinvolge il tema trattato. In Diavoli c'è un diverso livello di realtà rispetto ad altre serie di finanza”. Oltre le rivalità e i giochi di potere con movimenti di grandi fortune “ci sono questioni come la democrazia, un sistema che si misura con la propria sostenibilità o meno, rappresentando un momento dell'umanità”. Le dinamiche della finanza nella serie non restano sullo sfondo e Diavoli “pur mostrando anche lo stress del business, la questione non è solo avere IL controllo, ma anche avere responsabilità verso il presente e il futuro”.

Massimo vs Dominic, l'inevitabile scontro tra allievo e mentore

Molto del fascino di Diavoli, viene dalla dinamica tra i due personaggi protagonisti e dalla chimica tra i loro interpreti, affini nel modo di concepire il lavoro sul progetto, ma anche negli interessi. Jan Michelini sottolinea come questi aspetti vengano resi anche nella regia: "c'è molto dualismo anche qui, usiamo le superfici specchianti in modo da scavarli profondamente attraverso lo spazio, allo stesso tempo la cosa lascia spazio all'interpretazione personale, senza occhi giudicanti, in modo che ognuno possa trovare le sue risposte lungo un percorso che per Alessandro nei panni di Massimo Ruggeri, in questa stagione, è di passaggio da diavolo della finanza a una dimensione più umana e personale, mentre in Patrick - Dominic resta forte il tema della paternità e insieme del conflitto con il suo enfant prodige, il tutto mentre lo sguardo sempre avanti di Guido Maria sa intercettare i trend a venire". Chiamato a parlare del suo personaggio Dempsey riflette sul fatto che “Quando hai dei figli, impari che devi lasciarli andare affinché possano crescere” e questo distanziamento necessario implica anche “che nel loro processo di evoluzione e maturazione a volte ritornino per poi ripartire”. Poi, nel rapporto paterno, anche quello con figli “acquisiti”, come degli allievi in crescita, può capitare di confrontarsi, come in questa storia, con giovani uomini che devono fare i conti “con ferite profonde, traumi e perdite”. 
“Bisogna lasciar crescere i figli e farlo senza mai giudicarli”, conclude l'attore. Ed è una riflessione che torna in senso più lato alla prospettiva generale del progetto.

Un mondo così veloce da essere più immerso nel futuro che nel presente

L'autore de I Diavoli, il romanzo, non ha dubbi: nelle 8 puntate che andiamo a vedere da oggi per le prossime settimane possiamo trovare anche l'inizio dell'oggi, inclusa l'attuale guerra in “uno show down di quel rompersi tutto, si possono intravvedere anche la diplomazia fallimentare e la finanza che attraverso le sanzioni è strumento forte in risposta a scenari di guerra in quella che pare un'era che durerà molto”. La serie, secondo Guido Maria Brera è riuscita a intercettare tutto questo nel suo nascere “grazie a produttori coraggiosi e sceneggiatori che a cui è stato dato il permesso di comprendere e alla fiducia e partecipazione di attori pieni di idee”, un insieme di forze che si è trasformato in una serie che per certi versi arriva dove non riesce nemmeno la fantascienza. Fare un prodotto su utopia e distopia in un orizzonte di 20 anni e oltre nel futuro è più facile del tentare di catturare il presente e insieme dei semi di futuro (un futuro prossimo, intercettandolo a volte) immersi nel tempo reale". In un certo senso, il regista Nick Hurran gli fa eco. “Non pensiamo abbastanza allo scenario finanziario nel nostro quotidiano e abbiamo aperto ingresso a un mondo affascinante che viaggia velocissimo così come cambia velocemente il mondo”, dice con un occhio al futuro, questa volta incarnato da un preciso segmento di pubblico. "I giovani finanza possono cambiare mondo con buoni esempi da parte dei senior che li formano e guidano". 

Diavoli non si vuole fermare all'intrattenimento

Lo sceneggiatore Frank Spotnitz ammette di essere stato uno di quelli che gli articoli di finanza li saltava nella lettura del giornale. Non li capiva. Allo stesso modo ammette che quello che gli si chiedeva era difficile perché “non è semplice rendere comprensibile dei mondi fatti di numeri”. L'insight offertogli da Brera e dal suo libro, però, lo ha aiutato a comprendere che questi mondi fatti di numeri “non sono freddi o remoti”. 
"Abbiamo rivisto in scrittura le cose in base all'attualità in movimento, il che fa della serie uno stimolo a scoprire questo mondo: per i giovani, speriamo che Diavoli non sia solo intrattenimento", spiega.