Sanità veneta in allarme: «Spese ai minimi e i medici fuggono dai reparti»
VENEZIA. Il Veneto spende meno di Emilia Romagna e Piemonte per il personale sanitario, nonostante abbia un numero più elevato di cittadini da assistere. E intanto i Pronto soccorso della Regione sono per larga parte in mano alle cooperative private, che allettano i professionisti con remunerazioni decisamente più convenienti.
Due lati di una stessa medaglia: quella di una sanità pubblica che fa sempre più fatica a bastare a se stessa e che assiste, impotente, alla fuga dei suoi uomini dai reparti. Ultima uscita eccellente: Francesco Corà, che ha deciso di dimettersi da primario del Pronto soccorso dell’ospedale di Vicenza.
I SOLDI PER IL PERSONALE SANITARIO
Il motivo, si diceva, risiede in buona misura lì: nei soldi. Dati Agenas, nel 2020 il Veneto ha speso 2.488 milioni di euro per il proprio personale sanitario. L’Emilia Romagna, invece, ne ha spesi 2.854. Questo, a fronte di una popolazione dai numeri nettamente inferiori: 4,5 milioni di abitanti contro 5 milioni. E una proporzione simile si ottiene anche confrontando i dati della nostra Regione con quelli del Piemonte: una spesa di 2.509 milioni di euro all’anno, a fronte di 4,3 milioni di abitanti.
Qualcosa, evidentemente, non torna. E le spiegazioni possono essere soltanto due: il numero dei professionisti veneti è inspiegabilmente inferiore al numero dei professionisti emiliani e piemontesi, nonostante una popolazione più numerosa; oppure, le remunerazioni dei professionisti veneti, a parità di ruolo, sono altrettanto inspiegabilmente inferiori a quelle dei colleghi delle due regioni. «In ogni caso, serve un’inversione di tendenza, se vogliamo salvare la sanità» dice Giovanni Leoni, presidente di Cimo Veneto.
LA SITUAZIONE NEI PRONTO SOCCORSO
Ma per notare le differenze di trattamento non è necessario uscire dai confini della Regione. È sufficiente mettere piede nei Pronto soccorso, reparti che ormai in Veneto sono retti per larga parte dalle cooperative private. «In Veneto, il 70% è in mano alle cooperative. L’ospedale di Jesolo, addirittura, è interamente appaltato a privati. Reggono soltanto gli ospedali di Padova e di Verona, grazie agli specializzandi» dice ancora Leoni, denunciando la situazione. Peraltro, è cosa nota che nemmeno all’interno del recinto delle specializzazioni sia tutto rosa e fiori.
PUBBLICO E PRIVATO
Ma cosa spinge i medici a scegliere la strada del privato, di fronte alla possibilità dell’impiego pubblico? La solita gratificazione economica. «Nel pubblico, un medico di Pronto soccorso lavora 38 ore a settimana per 3.000-3.500 euro al mese, quando un professionista di una cooperativa arriva a guadagnare anche 100-120 euro all’ora» stima Leoni, «È allucinante che la nostra professione sia stata ridotta alle regole del mercato economico».
Ma non è solo una questione di soldi: ci sono lo stress, turni che non conoscono né orari né giornate festive, denunce che volano con sempre più facilità e persino gli episodi di aggressione. Una spirale che sicuramente è stata aiutata dal Covid. «Per questo i “vecchi” professionisti se ne vanno e i neolaureati si guardano bene dallo scegliere la specialità di emergenza e urgenza» dice Leoni. Basti pensare che, nell’ultimo anno accademico, tra le Università di Padova e Verona non sono state assegnate ben settanta borse di studio per i futuri professionisti dei Pronto soccorso. Tutta questione di attrattiva. che, evidentemente, la professione non ha più.