M5s, le armi della discordia. Oggi il Consiglio nazionale grillino, torna a salire la tensione con il Pd
ROMA. La voglia di pacifismo di Beppe Grillo e di Giuseppe Conte, condita del desiderio di recuperare consenso elettorale, riapre il fronte nel governo sull’invio delle armi all’Ucraina. Il fondatore dei Cinque stelle aveva fatto trapelare la scorsa settimana, nel corso della sua visita a Roma, che intorno alla scelta del Movimento di inviare aiuti militari andavano fissati alcuni paletti. Non solo a parole. E ha trovato la benevola sponda di Conte, felice di poter tornare su un tema che, in occasione del «no» del M5S a un aumento degli stanziamenti per le spese militari, un mese fa, aveva fatto balzare il M5S dello 0,8 per cento in una settimana. Così, a margine delle celebrazioni per il 25 aprile, in visita al quartiere romano Quadraro, il leader grillino inizia a distinguere tra l’invio di armi di difesa, sulle quali resta il via libera grillino, e quello di armi pesanti per contrattaccare. Perché, se l’obiettivo – sostiene l’ex premier – è quello di «indirizzare il conflitto verso il cessate il fuoco, il ritiro delle truppe e il riconoscimento all’autodeterminazione degli ucraini», allora i comportamenti «che possono allontanare da questo obiettivo vanno evitati».
Conte porrà il suo problema al governo, da «forza di maggioranza relativa», ma prima lo farà all’interno del Consiglio nazionale grillino, convocato per oggi, dove si valuterà la linea da tenere. Nel Movimento non tutti sono convinti, però, dell’opportunità di mettere di nuovo il governo di fronte a un bivio. I membri delle commissioni Difesa di Camera e Senato non farebbero dei distinguo e nemmeno gli uomini dell’anima governista del partito, vicini a Luigi Di Maio, sono in fondo convinti che sia una buona idea. Conte sa che si aprirà un confronto anche all’interno della maggioranza. Premette di aver «sempre cercato la massima unità delle forze politiche» e promette che continuerà a farlo, ma «è anche giusto poter discutere sul contributo dell’Italia per accelerare i negoziati e giungere alla pace». Argomento spinoso, questo, soprattutto per le forze del campo progressista. Il segretario del Pd non ha dubbi: «Lottare per la pace vuol dire aiutare un popolo che deve difendersi. La linea che il Parlamento ha scelto è legittima e noi la sosteniamo». Ma se Conte ricorda l’importanza della compattezza, Letta fa un passo in più e chiede che «l’unità prevalga». E dunque, che pesi di più delle legittime perplessità dell’alleato. «Cosa dovremmo dire agli ucraini? – si chiede il segretario dem –“Sono fatti vostri? ”».
Il campo progressista è diviso. Basta affacciarsi sul corteo per la Liberazione che si è tenuto a Milano, dove il sindaco Beppe Sala sposa la posizione di Letta e si dice «convinto che le armi vadano mandate, qui la Liberazione non è stata fatta con le parole ma combattendo», mentre i sindacati e Sinistra italiana chiedono di fermare la proliferazione di armi. «Non è il momento – dice il segretario generale della Cgil Maurizio Landini – di spendere soldi nel mondo per aumentare gli armamenti, ma è il momento di spenderli per la sanità pubblica e per creare lavoro». Il generale Claudio Graziano mette però in guardia dai rischi che una scelta del genere provocherebbe: «Le armi sono non solo indispensabili per fermare Putin – dice a Restart su Rai2 –, ma anche etiche e prudenti, perché servono a difendere una nazione in difficoltà e perché gli obiettivi di Putin posso essere anche maggiori», non limitandosi, quindi, all’invasione della sola Ucraina. Il dibattito è aperto. Anche in Europa. E qui, in Italia, è il Movimento 5 stelle a porre il suo interrogativo al governo. Con un occhio alla pace. E l’altro, con l’occasione, al borsino del consenso.