Dimissioni, le più colpite sono le fabbriche trevigiane. Paglini: servono operai e tecnici stranieri
TREVISO. Sono le fabbriche il teatro delle “grandi dimissioni”. Degli oltre 36 mila licenziamenti volontari registrati nella Marca nel 2021, quasi 11 mila riguardano operai e altri addetti dell’industria manifatturiera.
A lasciare il posto di lavoro - e molto spesso un contratto a tempo indeterminato - non sono quindi camerieri, baristi o infermieri, professioni soggette a un accentuato turnover, ma dipendenti dell’industria e di aziende di produzione, senza troppe differenze di settore. La fotografia arriva dai dati di Veneto Lavoro pubblicati ad aprile di quest’anno, dai quali emerge il boom di dimissioni volontarie nel 2021 rispetto al decennio precedente.
Un’indagine che non ha sorpreso il segretario generale della Cisl Belluno-Treviso, Massimiliano Paglini, che al tema delle “grandi dimissioni” aveva dedicato anche l’ultimo congresso: «Con questi numeri, e la cronica difficoltà a trovare manodopera, bisognerà presto ripensare le politiche migratorie per importare dall’estero determinati profili».
La grande fuga
Le 10.890 dimissioni consegnate alle aziende manifatturiere trevigiane nel 2021 rappresentano un notevole balzo rispetto alle 7.235 del 2020, anno che però è stato influenzato dalla pandemia. Ma la crescita è evidente anche sul 2019, quando le dimissioni dalle “fabbriche” furono 9.420. La grande fuga dal lavoro, con il 60% dei dimissionari che aveva un contratto a tempo indeterminato, riguarda con cifre minori anche gli altri settori. Una quota consistente di licenziamenti volontari - oltre 5 mila - è riferita infatti ai servizi alle imprese e alle agenzie (di viaggio e di lavoro), settori messi in ginocchio dalla panemia, e non solo nel 2020. Al contrario, commercio e ristorazione sembrano reggere il colpo: 7 mila dimissioni da gennaio a dicembre 2021.
Le proposte
«C’è da interrogarsi se il lavoro offerto oggi sia adeguato alle necessità dei giovani» esordisce il leader Cisl Massimiliano Paglini, «noi rileviamo un’occupazione sempre più sottopagata e precaria, il che contribuisce alla disaffezione verso il lavoro». E alla forbice, che pare allargarsi, tra domanda e offerta. «I dati del 2021 impongono di chiedersi se la forza lavoro presente sul territorio sia sufficiente, e secondo noi non lo è» continua Paglini.
«Bisogna porvi rimedio in tempi brevi. C’è bisogno di manodopera, e senza fare retorica, tutte le parti in gioco devono trovarsi attorno a un tavolo per pensare a come gestire meglio i flussi migratori e l’accoglienza di persone dall’estero. Lo abbiamo proposto anche al nostro congresso un paio di mesi fa. Cerchiamo all’estero quali competenze potrebbero essere importate e assunte dalle nostre azienda. Altrimenti, il rischio è che da qui ai prossimi anni le imprese possano loro stesse spostarsi all’estero per cercare lavoratori, con un meccanismo irreversibile di delocalizzazione».