Il coming out è una parte intrinseca dell'esperienza queer. A rischio di scrivere un’enorme generalizzazione, va detto che la maggior parte di noi dello spettro LGBTQ+ vive una prima storia, o una serie reiterata di situazioni, in cui ci sveliamo al mondo. È così che ci distinguiamo da tutti gli altri come queer e, siccome non smettono mai di considerarci un’anomalia, si tratta di un processo che continua per il resto della nostra vita, sia per barrare la casella in un sondaggio, sia quando decidiamo di stringere pubblicamente la mano della persona amata.

Pur essendo una realtà ampiamente accettata, il coming out tende a rimanere un momento carico di tensione. Anche nel 2022, dove il pungolo del pregiudizio tende a diventare meno acuto rispetto ai decenni passati, resta un riconoscimento di fondo di questa differenza fondamentale. Nessuna sorpresa, considerata la drammaticità dell’esperienza, che il coming out sia storicamente un luogo comune ricorrente per i narratori queer, come nel caso dell’ultima grande uscita su Netflix: la serie tv Heartstopper.

Nel corso degli anni, il coming out ha dato senza dubbio un contributo vitale a una causa importante, ma il recente proliferare di storie di chi ha deciso di dichiarare apertamente la propria identità di genere, obbliga a chiedersi se stiamo raggiungendo un punto di saturazione. Il primo elemento da considerare è la ripetitività della situazione. Ancora più importante è riflettere sul fatto che altri aspetti dell'esperienza queer sono stati inavvertitamente trascurati sullo schermo.

Negli anni ‘90, per esempio, il cinema queer era in gran parte interessato a due cose: l'AIDS, la più importante narrazione sociopolitica nella storia moderna della comunità gay, e la nozione, allora relativamente nuova, di coming out. Molti film hanno mischiato le due cose: Che ne dici di Willy? del 1989, in cui i vari protagonisti gay affrontano il primo decennio dell'epidemia di AIDS a New York, o Parting Glances il vincitore del Sundance Film Festival del 1986. Altre pellicole sono interamente concentrate sul percorso di accettazione della propria identità e il momento in cui ci si rivela.

La fine degli anni ’90 è stato il periodo culmine nella proliferazione di storie di coming out: basti pensare a Vite Nascoste del 1998, su un nerd e un'atleta che si innamorano in una scuola inglese, o a Chiamatemi Boy George, che è uscito nello stesso anno e affronta la sofferenza e l’angoscia del coming out nel clima anti-queer dell'America di Ronald Reagan.

Gli anni 2010 hanno visto una nuova impennata di interesse nelle storie di formazione gay e il coming out è tornato inevitabilmente a essere un passaggio centrale della trama. Chiamami col tuo nome del 2017 è l'esempio principale, con la storia di un ragazzo magro e dai capelli ricci, interpretato da un ancora sconosciuto Timothée Chalamet, che scopre le sue inclinazioni sessuali queer.

Dopo Tuo, Simon del 2018, un’altra pellicola di formazione gay ambientata in una scuola, degna di nota per essere la prima produzione LGBTQ+ girata in studio più che per i suoi meriti artistici, arriva la serie Love, Victor e poi l’attuale Heartstopper che è un altro show tra i tanti film, canzoni e altre forme narrative sul tema del coming out. 

Adattato da un popolarissimo web comic, scritto incredibilmente bene da uno studente universitario, vede nel ruolo di attori protagonisti la coppia degli esordienti, Joe Locke e Kit Connor (visto in realtà anche nei panni di un giovane Elton John nel biopic Rocketman). 

I personaggi principali sono Charlie e Nick, due adolescenti innamorati di una scuola secondaria per soli ragazzi nella Gran Bretagna dei nostri giorni. Charlie ha fatto coming out a 13 anni ed è considerato un po' un emarginato; il più grande Nick, invece, è una star del rugby. Uno studente all'undicesimo anno! Ma l'amore è irrazionale, illogico e non si preoccupa certo delle stupide gerarchie scolastiche.

È una piccola serie molto dolce con la presenza di una star del calibro di Olivia Colman, un’attrice che raramente sbaglia. Per essere un prodotto rivolto ai giovanissimi ha il merito di sovvertire molti dei tropi sul coming out e i rapporti queer in età adolescenziale, tipici delle commedie romantiche gay. Per esempio: la caratterizzazione di un autentico armadio come Nick è una boccata di aria fresca e lo vediamo spesso prendere decisioni emotivamente mature. Invece di mettersi sulle spalle Charlie e fare valere la propria prestanza fisica nei corridoi della scuola, cerca un punto di incontro con i suoi compagni con cui stringe un’alleanza, senza rinunciare ad apostrofarli per le loro battute accidentalmente omofobiche.

C'è anche una certa diversificazione, originale per un genere tradizionalmente dominato dall'omogeneità di maschi bianchi etero. Uno degli amici principali è trans, incarnato dalla TikToker Yasmin Finney, peccato che la sua identità di genere sia trattata solo in modo incidentale. Un errore che avrebbe potuto indebolire il senso del racconto, ma c’è una certa dignità nel non rendere banale la diversità di genere trattandola al pari di un curioso tabù, o come un dispositivo narrativo usa e getta funzionale solo alla trama. Lei è semplicemente lì e questo, tutto sommato, funziona.

Heartstopper è una serie gradevole, accattivante e sorprendentemente adeguata a un pubblico adolescenziale, ma non è poi così originale. Alcuni si sono sperticati in lodi esagerate, fino a suggerire online che si tratta di un'opera d'arte queer pionieristica e politicamente vigorosa, con il frequente ritornello che, se avessimo avuto un prodotto allo stesso livello di Heartstopper quindici o venti anni fa, forse non avremmo dovuto lottare così duramente per arrivare ad ammettere la nostra identità sessuale.

Un’osservazione che avrebbe potuto avere valore per i gay che sono cresciuti negli anni ’80. L'accessibilità di Heartstopper su una grande piattaforma di streaming costituisce un momento di svolta, ma le storie di coming out sono sempre state lì per quelli di noi che le hanno cercate. Ricordo distintamente i film che ho piratato quando avevo 13 anni:  Belli e dannati del 1991 diretto da Gus Van Sant con Keanu Reeves e River Phoenix, il già citato Chiamatemi Boy George, e il grande You Should Meet My Son!

Fondamentalmente, Heartstopper è un buon lavoro. L’importante è non esagerare e accettare la serie come un’opera piacevole da vedere, senza cucirgli addosso nessuna vaga etichetta di impegno sociale o politico. Forse sarà utile ai più giovani e sarebbe già abbastanza.  La prudenza nel giudizio permette di guardare avanti considerando in quale altro modo possiamo immaginare di raccontare le vite e le esperienze queer sullo schermo. Dobbiamo pensare alla miriade di storie queer che non hanno nulla a che fare con il coming out, un processo narrativamente obsoleto, soprattutto perché le categorie sessuali continuano a dissolversi. 

La porta è stata sfondata da molto tempo, ormai. È ora di essere meno fissati con il coming out e di considerare una rosa più ampia di possibili storie queer.

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