È difficile raccontare a parole la doppia mostra di Anish Kapoor a Venezia. Difficile perché, nonostante l’impatto visivo delle opere in scena, che sembrano uscire da un film splatter, e nonostante l’impasto violentissimo di materia e colori che pare provenire dalle viscere di chissà quale animale, il senso del tutto è profondamente spirituale. Per paradosso, più sono i muscoli, le ferite, i tessuti e le sfumature di rosso - dal vermiglio al Borgogna, dal cremisi al vinaccia - a prendere il sopravvento e più si rivela ciò che non si vede, ciò che abbiamo dentro.

Anish Kapoor. Courtesy Photo

Kapoor, 68 anni, è il primo britannico a cui le Gallerie dell’Accademia e Palazzo Manfrin rendono omaggio (in concomitanza con la Biennale d'arte) con una mostra curata dallo storico dell’arte Taco Dibbits, direttore del Rijksmuseum di Amsterdam. La prima parte di questo tour, che sembra più una seduta psicanalitica che la visita a una mostra d’arte, inizia da Campo della carità, ai piedi del ponte dell’Accademia, dove Kapoor presenta una serie di lavori cult, che lasciano senza fiato. Dalle attualissime installazioni in cui un cannone vero esplode quindici chili di cera scarlatta che attraversano la sala a cinquanta chilometri orari fermandosi sulle pareti immacolate del museo fino alle opere inedite create con il Kapoor Black, materiale nanotecnologico innovativo in grado di assorbire oltre il 99,9% della luce visibile quasi fosse una spugna. 

Anish Kapoor. Courtesy Photo.

In un dialogo più o meno esplicito con i capolavori di Tiziano, del Lotto e del Giorgione posti al piano superiore, l’artista indaga il senso della piega nella pittura rinascimentale inteso come un segno dell’essere: eliminando bordi e contorni, si entra in un’altra dimensione. L’esempio più clamoroso è l’opera Pregnant white within me, sporgenza bianco candido che gonfia le pareti dello spazio trasformandolo in un ventre materno. La stessa opera, poi scompare se si muta angolazione visiva. “Creare non è come procreare. Per questo invidio la maternità”, racconta l’artista. C’è un po’ di horror e di fantascienza in tutto questo. Un po’ di Bergman e di Cronenberg.

Anish Kapoor. Photo: David Levene. © Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2021

Ancor più intensa o forse semplicemente più sorprendente, è poi l’esposizione di Palazzo Manfrin, che presto diventerà sede della fondazione Kapoor. Qui, siamo alle Fondamenta Venier, nel cuore di Cannaregio, vernici e silicone rosso sangue scandiscono il cammino dei visitatori grazie a lavori di un’intensità tale da lasciare turbati. Come la gigantesca (e instagrammatissima) Mount Moriah at the Gate of the Ghetto, creata appositamente per l’occasione, la cui massa rossa sembra colare dal soffitto dell’androne. O come  il sangue vorticoso dell’installazione Turning Water Into Mirror. O come le opere specchianti che stravolgono e contorcono le prospettive. O, ancora, come l’installazione centrale di un sole che sorge, o più probabilmente tramonta, che sormonta una massa informe di cera rossa mentre si aggrega sul pavimento del palazzo cinquecentesco, sommergendolo in una sorta di sostanza primordiale in cui vita e morte si impastano fino a confondersi. Avete in mente la scena di Shining dove un’immensa ondata di sangue fuoriesce dagli ascensori e invade la sala dell’Overlook Hotel? Ecco, l’effetto è più o meno lo stesso, ma in chiave solida. 

Anish Kapoor. Photo: David Levene. © Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2021
David Levene

Per Kapoor la materia non è solo volume, ma anche vuoto. Un oggetto non se ne sta lì solo per riempire uno spazio, ma anche per mostrarci l’assenza che vi si dispone intorno. Ecco perché in ogni stanza di questa doppia esposizione gli squarci, le fenditure e le cavità ci annunciano realtà esplicite e più intime e indagano temi come la luce e l’ombra, il negativo e il positivo, il maschile e il femminile, il materiale e l’immateriale, il pieno e il vuoto, il concavo e il convesso, il naturale e l’artificiale, il solido e il liquido, l’attivo e l’inerte e, più in definitiva, l’ordine e il disordine. Se fosse stato ancora vivo Francis Bacon, immenso pittore dell’angoscia e dell’inquietudine, non si sarebbe perso per nulla al mondo questa supermostra (in programma fino al 9 ottobre). Vi invitiamo a fare lo stesso. 

Anish Kapoor. Courtesy Photo.

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