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Апрель
2022

Il lockdown cinese rischia di paralizzare l'Italia: gli effetti del Covid fanno scattare l'allarme

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Colpa dei cinesi se al concessionario non è arrivata l’auto che abbiamo comprato. Nelle 24 ore della domenica di Pasqua in Toscana si sono contati 3.363 nuovi contagiati: tutto aperto, compresi gli stadi e i locali. In Cina 2.420 a Shanghai, sei volte il numero dei toscani: tutto chiuso, e tutti chiusi in casa. In tilt anche il principale porto cinese (non tanto per un divieto generalizzato ma per il combinato disposto che sulla velocità di smistamento hanno le rigide normative cinesi per camionisti, magazzinieri e il resto).

Stiamo parlando del principale scalo del mondo: con l’Occidente ha un flusso di import-export di 43 milioni di teu (container) ogni anno. Adesso è piuttosto in tilt, se pensiamo che a febbraio – afferma la società Winward, che usa l’intelligenza artificiale per l’analisi predittiva – erano 260 le portacontainer in coda davanti ai porti cinesi aspettando la possibilità di entrare, erano diventate 470 a marzo e 506 a metà aprile. Nella sola Shanghai martedì 26 aprile risultava schedulato l’arrivo di 536 navi, con 409 “cargo” e 55 cisterne.

Bastano queste cifre per capire cosa accade se si rompe qualche ingranaggio della catena: le conseguenze non riguardano né solo Shanghai né solo la Cina ma, a distanza di tempo (un po’ più di un mese ma un po’ meno di due), le risentiremo all’uscio di casa nostra, nelle nostre imprese e nelle nostre città. Anche perché non è l’intoppo di un singolo mega porto o l’impasse di una singola nazione, per quanto grandi possano essere: c’è sì un aggravarsi delle file kolossal in rada davanti a ciascuno dei grandi scali della Cina, ora si concentra qui il 27,7% delle navi in attesa d’ingresso nei vari porti di tutto il mappamondo (il doppio rispetto al 14,8% di febbraio). Ma questa percentuale significa anche che ogni nave in fila in Cina ce ne sono quasi quattro che attendono fuori da un altro scalo in qualche altra zona del pianeta.

Non è una cosa che nasce ieri e potrebbe diventare la molla che porterà a ridisegnare le catene di fornitura. Si sono mostrate doppiamente vulnerabili: 1) si estendono su tutto il pianeta; 2) seguono la logica del quasi-azzeramento del magazzino (per evitare di congelare finanza nelle scorte). Indispensabile dunque che l’approvvigionamento fili con la regolarità di un orologio svizzero per impedire che, com’è accaduto, vi siano stop alla produzione per mancanza di materie prime o perché le manifatture “a valle” non assorbono i pezzi (l’industria dell’auto sta impazzendo per questo).

Con il lockdown di Shanghai si ritorna alla rottura della catena logistica che si avvertì agli inizi dell’emergenza coronavirus a Wuhan. L’ultimo report dell’équipe di VesselsValue sulla congestione dei porti dice che ben prima di Natale erano in attesa fuori dai porti navi per un totale di 2,36 milioni di teu fra le portacontainer (cioè il 10% della capacità di trasporto dell’intera flotta di questo settore) e 181 milioni di tonnellate di portata lorda fra le navi cargo (20% della flotta). Non è un segreto che si fosse temuto un Natale dimezzato e senza molti regali sotto l’abete. Il Natale si è salvato in extremis per miracolo. Ma di scossoni l’assetto delle grandi rotte internazionali negli ultimi due anni ne ha avuti a bizzeffe: anche mettendo tra parentesi l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea (Brexit), abbiamo dovuto fare i conti con il canale di Suez completamente bloccato per l’incidente della Ever Given. Ha pesato ancor di più la brusca riduzione della capacità di stiva da parte delle tre “sante alleanze” che hanno in pugno il mercato: ferma una bella fetta della flotta pur di far schizzare in altissimo i noli marittimi (quintuplicati in pochi mesi). Se lo mettete in tandem con il crollo della fiducia dei consumatori, che di fronte alle incertezze per l’emergenza pandemia hanno preferito rimandare ogni spesa impegnativa...

Non basta: c’è stato da mettere nel conto anche l’asimmetria del posizionamento dei contenitori vuoti e soprattutto gli sconquassi sul mercato delle materie prime e soprattutto dei semiconduttori indispensabili per le componenti elettroniche. Per finire, la guerra. E non in un posto qualsiasi: in Europa, e coinvolgendo due fra i principali produttori di materie prime: senza contare le sanzioni anti-Putin. E ora la minaccia concreta che il conflitto esca dai confini ucraini.




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