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Апрель
2022

Molecola spia indica chi si può aggravare a causa del Covid: la scoperta nella Clinica di malattie infettive di Udine

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UDINE. Nei primi giorni in cui si manifesta l’infezione da coronavirus è possibile stabilire se il paziente rischia di aggravarsi al punto di finire in terapia intensiva o se, invece, il decorso della malattia seguirà un percorso meno preoccupante.

La molecola “spia” è stata scoperta da un gruppo di ricercatori della Clinica di malattie infettive, diretta dall’infettivologo Carlo Tascini, e del Dipartimento di medicina di laboratorio, diretto dal professor Francesco Curcio, dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale (Asufc) di Udine.

Emanuela Sozio, dirigente medico della clinica, con la collega di Medicina di laboratorio, Martina Fabris, ha condotto uno studio retrospettivo su 415 pazienti colpiti dal Covid, ricoverati tra maggio 2020 e 2021 all’ospedale Santa Maria della Misericordia.

Lo studio

I 415 pazienti ammalati di Covid in forma lieve, moderata e grave su cui sono stati fatti gli studi fanno parte dei 1.300 malati accolti nei primi 11 mesi di pandemia nella clinica di Malattie infettive.

Sono per lo più maschi (65,5%), con un’età media che non supera i 70 anni. Di questi il 15,7% è deceduto, mentre un altro 23,6 per cento ha subìto l’intubazione orotracheale.

Ai 415 pazienti sono stati misurati i livelli sierici di un’ampia gamma di citochine (proteine) al momento del ricovero e confrontati poi con altri marcatori.

In base ai livelli delle citochine e degli altri biomarcatori nel sangue, i ricercatori hanno predisposto un diagramma che gli ha permesso di prevedere i casi a rischio aggravamento, ovvero di individuare i malati che avrebbero potuto andare incontro all’intubazione o anche la decesso.

«Le citochine erano già note per essere espressione di forte infiammazione e con il Covid sono tornate in auge. I profili di queste stesse proteine, infatti, possono diventare lo strumento che ci aiuta a individuare i malati a rischio intubazione e quelli che, invece, potrebbero non aggravarsi».

Sozio usa il condizionale perché trattandosi di rischio potrebbe anche non verificarsi mai. Chiarito questo aspetto, la ricercatrice aggiunge: «Attraverso il profilo delle citochine è possibile prevedere quali malati devono stare in sub intensiva, proprio perché potrebbero aggravarsi, e quali possono essere in salvo anche se curati in un ospedale periferico».

L’indicazione arriva dall’analisi del sangue attraverso un banalissimo prelievo. «Si tratta di un esame non invadente, che facciamo in collaborazione con il gruppo del professor Curcio», aggiunge Sozio facendo notare anche che non tutti gli ospedali fanno questo esame.

«Indicando i livelli di rischio – continua la ricercatrice –, l’esame delle citochine segnala come comportarsi dopodiché non è detto che chi è a rischio aggravamento finisca davvero per essere intubato».

MASTRO-STAMPA

La collaborazione con la Sissa

«Non è sempre possibile determinare quali pazienti Covid hanno la prognosi peggiore, soprattutto nella fase iniziale», riflette Sozio dopo aver esplorato la potenzialità previsionale delle citochine anche in un altro studio presentato sempre nei giorni scorsi a Lisbona, condotto in collaborazione con la Scuola internazionale di studi avanzati (Sissa) di Trieste, per la definizione di modelli matematici preventivi.

«Iniziamo ad avere numeri che ci consentono di lavorare con l’intelligenza artificiale» aggiunge la ricercatrice nel farsi portavoce della soddisfazione del gruppo «per aver potuto portare avanti ricerche di questo tipo. Anche se non sono al top della metodologia scientifica, siamo riusciti a ottenere tanto e ora iniziamo a lavorare».

Il gruppo di ricerca della Clinica di malattie infettive è convinto che «prima trattiamo l’infiammazione eccessiva, più è probabile che la si disattivi in modo rapido e definitivo, evitando così danni irreversibili agli organi.

Il nostro lavoro – sottolinea ancora Sozio – può aiutare a selezionare i pazienti con prognosi peggiore che devono essere ricoverati in unità a più alta densità di cura, nonché potenzialmente aiutare a personalizzare il loro trattamento».




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