Sui pedali tra la Carnia e la Destra Tagliamento: è morto Evelino Moznich, l’ultimo arrotino in bicicletta
RESIA. Macellai, barbieri, sarti. Ma anche calzolai. C’era un tempo, non molto lontano per la verità, in cui l’appuntamento con l’arrotino era per tanti artigiani semplicemente imprescindibile. Evelino Moznich, morto mercoledì 4 maggio all’età di 82 anni, era uno di loro.
Di più: è stato forse l’ultimo arrotino a muoversi in bicicletta, su e giù prima tra i monti della natia Carnia (spingendosi fino a Cima Sappada) e poi per le strade della Destra Tagliamento, quando negli anni Ottanta l’amore l’aveva portato a trasferirsi a Spilimbergo, dove venerdì 6 maggio si sono celebrati i funerali.
Più che un mestiere, una vocazione: Moznich ha ereditato il know how dal papà Antonio, che a sua volta aveva calcato le orme del capostipite Odorico, nonno di Evelino, uno che in mancanza della bici si caricava in spalla l’attrezzatura e a piedi percorreva viottoli e strade intorno a Resia.
Proprio a Stolvizza era nato Evelino, nel settembre del 1939, primo di quattro fratelli (con Agostino, Evelina e Luigi, appuntato scelto dei carabinieri in quiescenza, che ha chiuso in Friuli una carriera che l’aveva portato in giro per l’Italia).
Dopo la quinta elementare si era da subito dedicato al lavoro, affiancando il papà nell’attività di rifilatura di lame e coltelli: un lavoro che è stato la stella polare dell’intera esistenza, portato avanti fino a che le forze lo avevano sostenuto. «La sua è stata una vita stentata, piena di sacrifici e malgrado i diversi incidenti che gli erano occorsi sulle strade del Friuli aveva continuato a lavorare fino a cinque anni fa», racconta con orgoglio il fratello Luigi.
Dopo aver lavorato per un periodo alle acciaierie Weissenfels con il fratello Agostino Moznich, si era trasferito a metà degli anni Ottanta a Spilimbergo con Nilda, conosciuta proprio a Fusine.
Ripresa la bicicletta, aveva trasferito nella Destra Tagliamento la sua attività di arrotino, spostandosi tra Sequals, Pinzano, Vivaro e Dignano. Coltelli, forbici, ma anche gli ombrelli, che restituiva a nuova vita, erano il suo pane quotidiano: a domicilio o nel piccolo laboratorio che si era costruito in casa lame e oggetti tornavano a fare il loro dovere, grazie alle sue sapienti cure.