A chi fanno più male le sanzioni
Secondo esperti ed economisti la crescita italiana sarà ridotta di 45 miliardi di dollari, all’incirca due punti di Pil e nel 2022 si perderebbero poco meno di 300 mila posti di lavoro.
Ancora non si sa quali saranno gli effetti delle sanzioni sull’economia di Mosca e se riusciranno a fermare l’invasione in Ucraina. All’inizio della guerra, gli analisti avevano previsto un rapido collasso, con banche e aziende russe impossibilitate a pagare i debiti contratti con il sistema finanziario internazionale, ma così non è stato. Si vedrà in seguito se l’esclusione dal circuito Swift per le transazioni monetarie e l’embargo su una serie di prodotti, dai quali però restano esclusi quelli petroliferi, otterranno l’effetto sperato. I dubbi sono molti, perché dalla guerra di Cuba in poi, nessun Paese è mai stato completamente messo al tappeto a causa delle sanzioni. L’Iraq ha resistito per anni prima che gli americani lo invadessero e l’Iran è sottoposto a restrizioni economiche internazionali da una vita, per non parlare della Corea del Nord. Quasi sempre, a permettere di attutire gli effetti è l’aggiramento delle misure. Grazie a un sistema di triangolazioni, ancora oggi Teheran riesce a commercializzare il petrolio: non con l’Europa, ma con alcuni Stati che si prestano, infischiandosene dei rischi. Tanto è vero che il rublo è tornato ai livelli del 2020 e l’indice del Global manufacturing Pmi del Paese ad aprile è aumentato, facendo meglio persino della Cina.
Tuttavia, a prescindere da quanto inciderà sull’economia russa e da quanto tempo ci vorrà prima che l’embargo agisca da deterrente contro l’aggressione ordinata da Putin, un risultato si può già toccare con mano e sono le conseguenze che le misure hanno sull’economia dei Paesi europei e, in particolare, sull’Italia. Nel primo trimestre dell’anno, che tiene conto solo di un mese di guerra, il Pil del nostro Paese ha azzerato tutte le previsioni di crescita, segnando un arretramento dello 0,2 per cento. Difficilmente dunque, quest’anno si potranno confermare i tassi positivi previsti dal governo, che in principio aveva parlato di un 4,3 per cento di aumento, correggendoli poi in un più realistico 2,9. Ma forse neppure questo obiettivo sarà centrato, mentre è più probabile che si rischi un numero con un meno davanti. Non meglio va sul fronte dell’inflazione, che nell’area euro, per effetto dell’aumento del prezzo degli idrocarburi, ha già superato il tetto del 7 per cento, mentre in Italia, grazie alle misure di contenimento dei rincari su bollette e benzina, si è assestata al 6,2 per cento.
C’è chi ha calcolato quali saranno gli effetti sul Pil mondiale nei prossimi due anni. Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale, che le ha pubblicate nell’ultimo numero del World economic outlook, la perdita sarà di poco inferiore a un triliardo di dollari e per un quarto sarà pagata da Mosca, per un altro quarto sarà a carico dell’Europa, per un sesto dell’America mentre il resto ricadrà sugli altri Paesi del mondo. Per quanto ci riguarda, la crescita italiana sara ridotta di 45 miliardi di dollari, all’incirca due punti di Pil. Tutto ciò nel caso non si estendano le sanzioni agli idrocarburi, perché se così fosse sarebbe anche peggio. L’economista Paolo Onofri ha stimato che in Italia avremmo un crollo del Pil nella seconda metà di quest’anno del 2,5 per cento, con uno choc in termini occupazionali. Nel 2022 si perderebbero poco meno di 300 mila posti di lavoro e, nel 2023, altri 270 mila. L’aspetto paradossale è che le conseguenze del conflitto non saranno distribuite in maniera uguale su tutti gli Stati: i forti produttori di materie prime, come Argentina, Brasile, Arabia Saudita ed Emirati arabi, trarranno invece benefici in termini di crescita. «In altre parole» scrive l’economista Rony Hamaui «gli effetti di breve periodo della guerra sullo sviluppo appaiono ampiamente asimmetrici e la Russia, al di là delle polemiche sulla relativa efficacia delle sanzioni, subirà solo una piccola percentuale dei costi che il mondo dovrà patire». Detto in altre parole, l’Europa da questo scontro uscirà più povera e più fragile. Così si scopre che l’embargo non è gratis e fa quasi più male a chi lo impone che a chi lo subisce.