Il 2021 del tennis italiano è stato epocale: Matteo Berrettini in finale di uno Slam, a Wimbledon, il primo azzurro a riuscirci dopo Panatta nel Roland Garros 1976, la contemporanea presenza di dieci italiani in top cento del ranking Atp, due di questi in top ten, i sette successi nel circuito, distribuiti tra i vari Berrettini, Sinner, Sonego, eguagliando il primato del 1977, e poi l’organizzazione delle Finals a Torino. Soddisfazioni, risultati, traguardi arrivati tutti insieme, ma non per caso: dietro c’è un impegno della Federazione che è riuscita a riportare il tennis italiano a uno splendore di cui si era persa traccia negli ultimi decenni. 

Tra le figure che sono state cruciali in questo processo c’è Filippo Volandri, ex numero 25 al mondo, oggi capitano della Nazionale italiana di Davis e soprattutto direttore tecnico del settore maschile dal 2016. «Dieci anni fa la Federazione ha deciso di investire non solo sui centri tecnici, ma soprattutto sul rapporto con le strutture private», spiega Volandri. «La collaborazione ha fatto la differenza: abbiamo avuto l’opportunità di mettere a disposizione strumenti e figure al servizio di giocatori e allenatori, per alzare il livello di tutti». E quindi: condivisione di conoscenze, perfezionamento delle competenze, inserimento di figure come statistici, preparatori mentali, psicologi. Tutto in funzione di una nuova visione del tennis, di pari passo con le esigenze dettate dal cambiamento. «Il tennis è cambiato tantissimo da quando ho smesso di giocare (nel 2016), perciò deve cambiare anche il modo di allenare», sottolinea Volandri. «Il vecchio sistema prevedeva allenamenti standardizzati, sempre gli stessi, ma adesso non basta più. Oggi il 75 per cento degli scambi finisce in quattro colpi, quando giocavo io invece si scambiava molto di più. Perciò non servono esercitazioni di tre minuti se un punto termina rapidamente. I ragazzi devono sapere esattamente quello che devono fare, e non improvvisare in base al tipo di palla che arriva. Tutto questo ovviamente si fa con il supporto di dati, numeri, statistiche». Nella crescita e nell’allenamento quotidiano dei giocatori, rispetto agli anni precedenti, è cambiato il come e il dove: «In passato venivano scelti i migliori talenti italiani e portati ad allenarsi nello stesso posto con gli stessi allenatori. Oggi invece si parla di decentramento, perché siamo noi del settore tecnico ad andare ad aiutare giocatori e allenatori per accompagnarli nella loro crescita. La Federazione mette così a disposizione tutti gli strumenti utili, che a livello privato sarebbero difficilmente accessibili». 

Filippo Volandri, Lorenzo Sonego, Lorenzo Musetti, Flavio Cobolli e Simone Bolelli

Giampiero Sposito

E poi c’è la dimensione delle partite e dei tornei, che non va sottovalutata: «L’investimento nei tornei da parte della Federazione ha aiutato tanto», racconta Volandri. «Per poter accelerare il processo di crescita dei giocatori oggi ci sono oltre trenta Futures e altrettanti Challenger all’anno in Italia, che rappresentano il trampolino di lancio verso il professionismo. Poter giocare quasi ogni settimana in tornei di questo tipo è un aiuto fondamentale, decisivo nella crescita dei vari Berrettini e Sinner». I frontman di una squadra di Davis di cui, dal 2021, Volandri è capitano: «Per me è motivo di orgoglio, una responsabilità importante. Mi aiuta il fatto di collaborare con questi ragazzi da tanti anni, li ho visti crescere. Siamo una squadra decisamente forte, anche se il rimpianto è non averla avuta sempre al completo: per esempio, non siamo mai riusciti ad avere Berrettini a disposizione negli ultimi impegni. È un gruppo giovane, ci vorrà un po’ di tempo». La rivoluzione del tennis italiano è anche e soprattutto culturale, ecco perché il tempo, in quest’ottica, è un prezioso alleato: «Adesso non dobbiamo sederci sui risultati ottenuti, ma dobbiamo continuare a crescere», promette Volandri. «L’obiettivo è fornire costantemente varie competenze ai giocatori perché continuino a rimanere in alto. Per fare un esempio, Sinner quest’anno preferisce concentrarsi sul suo bagaglio di conoscenze piuttosto che limitarsi a guardare la classifica, anche a costo di perdere qualche posizione. Se vogliamo arrivare in alto, dobbiamo migliorarci, accettando pure di perdere ogni tanto qualche partita. È qualcosa di fondamentale, che va trasmesso anche ai più giovani».