«No alla riforma della giustizia»: i magistrati mantovani incrociano le braccia

MANTOVA. Sciopero dei magistrati per protestare contro la riforma dell’ordinamento giudiziario. Il 16 maggio anche i rappresentati di tribunale, procura e tribunale di sorveglianza di Mantova hanno incrociato le braccia per dichiarare la loro disapprovazione alla riforma dell’ordinamento giudiziario approvata dalla Camera e ora in discussione al Senato.

L’adesione dei circa trenta rappresentanti della legge è stata quasi totale. Questo ha comportato il rinvio di una trentina di udienze in calendario. Garantiti comunque i servizi essenziali (si è tenuto un processo per direttissima).

Le motivazioni dello sciopero – a carattere nazionale – sono state spiegate dai giudici Enzo Rosina, presidente della sezione penale, e Chiara Comunale, segretaria per la sottosezione dell’Anm (Associazione nazionale magistrati) di Mantova.

«Con questa giornata di astensione – hanno spiegato i due giudici, i quali hanno ricordato che in trent’anni i magistrati hanno scioperato tre volte: la prima nel ’91 contro l'allora capo dello Stato Francesco Cossiga e i suoi interventi come presidente del Csm, poi nel 2006 con la riforma Castelli e ieri – vogliamo denunciare pubblicamente che la riforma in discussione al Parlamento non accorcerà di un giorno la durata dei processi, come auspicato da tutti i cittadini e da noi con loro, ma cambierà radicalmente la figura del magistrato, in contrasto con quello che prevede la nostra Costituzione. Riteniamo che il Paese abbia bisogno di recuperare fiducia nella magistratura, ma per ottenere ciò serve una riforma che attui veramente l’articolo 107 della Costituzione, secondo cui i magistrati si distinguono fra loro soltanto per le funzioni, e affermi chiaramente che non devono esistere carriere in magistratura. Invece questa riforma, continuando l’opera intrapresa dalla precedente riforma Castelli-Mastella, rende gerarchicamente ordinati anche gli uffici giudicanti, creando una magistratura alta e una bassa: aumenterà quell’ansia di carriera che tanto danno ha fatto e continuerà a fare».

E ancora: «I cittadini hanno bisogno di magistrati che vengano valutati per la qualità del loro lavoro e non solo per la quantità; di magistrati liberi di giudicare serenamente e non di giudici impauriti delle ripercussioni personali... È inoltre garanzia per i cittadini – hanno proseguito Rosina e Comunale – avere pubblici ministeri che ragionano come giudici, aperti al dubbio sull’innocenza dell’indagato, alla ricerca solo della verità. Diciamo no a un modello di pubblico ministero che sente una condanna come una vittoria e un’assoluzione come una sconfitta e una riforma che rende incomunicabili le funzioni giudicanti e requienti».

I magistrati sostengono infine di volere «una riforma del Csm che dia trasparenza e autorevolezza all’organo di autogoverno» e chiedono «un impiego più efficiente delle risorse e degli organici».