Davanti alla scacchiera (II)
Quando la scacchiera è fonte di fantasticherie, volti, ricordi, emozioni…
“Ogni tanto mi apparto con la scacchiera. La prendo, dispongo i pezzi, li osservo. Non so cosa fare, se esaminare una partita, se verificare un’idea, una linea di giuoco. Non so nemmeno perché l’ho presa. Una specie di riflesso incondizionato, l’ho preparata tante volte per le mie vecchie partite per corrispondenza! Un contatto continuo, un’amicizia destinata a durare.”
Davanti a lei (la considero come una persona) spesso mi appaiono dei volti. Volti di grandi campioni insieme agli atteggiamenti relativi alle loro persone. Così, all’improvviso, come le truppe dei Lanzichenecchi di manzoniana memoria al ponte di Lecco (passano i cavalli di Wallenstein, passano i fanti di Merode…) Spesso mi ritrovo davanti gli occhi ipnotici di Tal dallo sguardo mefistofelico capace di ammaliare certi avversari, oppure il fascinoso, elegante Capablanca, il gigantesco Andersson fautore dell’attacco ad ogni costo, la grinta e il labbro sprezzante di Kasparov come pure quella del terribile Kortschnoj che ce l’aveva con tutti, l’allegro e sorridente Naidorf, il volto sereno di Karpov, il sigaro perennemente piazzato fra le labbra del baffuto Lasker che un colpo di tosse me lo provoca sempre, lo spilungone Marhall che mi fa ritornare in mente il mitico Sherlock e pure, in certe pose, Oscar Wilde, mentre Tartakover spiccicato a Yul Brinner, e poi il “grattacielo” Lilienthal, il Mangiafuoco Cigorin e altri ancora fino al grande Fischer che, con le sue imprese, mi ha fatto conoscere gli scacchi. Volti, pose, atteggiamenti insieme a sprazzi di frasi famose uscite dalle loro bocche: Lotta, sempre lotta, fortissimamente lotta! Il gioco degli scacchi è lo sport più violento che esista; L’obiettivo è distruggere la mente dell’avversario; Non c’è fortuna negli scacchi; Ci sono due tipi di sacrifici, quelli corretti e i miei; Durante una gara a scacchi, il campione deve essere una combinazione fra un monaco buddista e una tigre siberiana; L’arma più potente a scacchi è quella di avere la prossima mossa… e altre millanta frasi, battute, pensieri che arrivano improvvise a vorticare dentro la mia mente.
Ho letto e studiato con passione le vite di questi grandi campioni. L’inizio, le prime vittorie, il successo, l’onore, la fama, la gloria insieme a certi momenti duri e difficili, talvolta penosamente drammatici che possono affiorare nel corso di una esistenza. Miti che esplodono, miti che si afflosciano lasciando una scia malinconica nel cuore. Come la fine di Akiba Rubinstein in un ricovero psichiatrico. Abbandonato da tutti, dalla moglie e i due figli, spesso solo nella sua stanza a muovere i pezzi della scacchiera tascabile. O come quella straziante di Wilhelm Steinitz e di altri ancora…
Quando mi siedo davanti alla scacchiera vengono fuori anche volti meno famosi, meno noti, ma non per questo meno cari, di amici e persone incontrate nei tornei. Un tourbillon di sguardi, di occhiate, di labbra contratte, di sorrisetti, di smorfie, di mani che sorvolano la scacchiera, di pugni che sorreggono il mento, di improvvisi aggrottamenti della fronte, di sospiri, di forti o flaccide strette di mano, insomma di tutte le forme espressive che si formano durante e alla fine delle partite. Dove talvolta serpeggia il grido angoscioso del perdente Avevo vinto! Con una dimostrazione, la sua, completa e convincente. Una stupida distrazione, un banale errore, una svista imperdonabile ha fatto sì che la vittoria meritata gli sfuggisse di mano. Chiaro, logico, lampante e lapalissiano…
Per dieci anni ho insegnato gli scacchi alla scuola media di Rosia diventata, tra l’altro, centro di incontro per l’annuale torneo regionale. Che gioia! Che soddisfazione! E allora ecco altri volti a farmi compagnia. Volti di ogni tipo, giovani, spigliati, sorridenti di ragazzi e ragazze che mai avresti creduto pensierosi davanti alle sessantaquattro caselle. Occhi vispi e furbetti diventare all’improvviso dubbiosi e contratti, corpi frenetici bloccati, almeno per un po’, sulla sedia. Un piccolo miracolo di Re e Regine…
Spesso, quando mi siedo davanti alla scacchiera, rivedo i volti dei miei nipotini ai quali ho cercato di insegnare questo giuoco. Quello di Johnny un po’ teso e preoccupato, quello di Jessy più sorridente e aperto, soprattutto quando esclama eccitata “Matto, nonno!”. Ora stanno crescendo, sono presi soprattutto dalla scuola e, giustamente, dallo sport. La vita continua.
Forza, ragazzi!