Gorizia, Roberto Menia e Gianni Cuperlo e la politica da due fronti opposti: «Anni di valori e scuola di vita»
I due leader nazionali hanno ripercorso la loro formazione giovanile in un periodo di scontri ma anche di crescita del paese. Riflessioni anche sull’Ucraina
GORIZIA. Anni di tensioni e battaglie, violenze e ideali, passioni e impegno. Ma anche anni in cui la politica era molto diversa da quella di oggi, praticata ma non gridata, ammantata di una “nobiltà” che allo stato attuale sembra essere andata persa. Sono gli anni giovanili di Gianni Cuperlo e Roberto Menia, punti di riferimento a livello nazionale oltre che locale degli schieramenti di sinistra e destra (allora), centrosinistra e centrodestra (oggi), e cresciuti assieme in una Trieste in fermento.
Si sono raccontati domenica mattina a èStoria stimolati dalle domande del responsabile della redazione di Gorizia e Monfalcone de Il Piccolo Pietro Comelli, che ha voluto cominciare il breve viaggio della Tenda Erodoto dai licei frequentati da Cuperlo e Menia, rispettivamente il classico “Petrarca” e lo scientifico “Galilei”, distanti appena poche decine di metri, eppure mondi diversi. «È stato in quel periodo che la passione per la politica è esplosa in me, in modo quasi dirompente – ha raccontato Cuperlo -. Una passione intesa come impegno generoso e gratuito, che restituisce un senso di orgoglio. Un qualcosa che forse è persino difficile raccontare e spiegare a chi non ha vissuto quei tempi».
Sensazioni e ricordi rispetto ai quali Menia non ha nascosto di guardare con una certa nostalgia. E non certo per i rischi corsi durante le risse o le manifestazioni con i sampietrini che volavano nell’aria che caratterizzavano quei tempi così aspri di confronto politico, ma piuttosto per ciò che allora rappresentava l’impegno politico e la militanza in un partito: una scuola di vita. «Un tempo la politica aveva dei canoni, una dignità che oggi spesso non ritrovo – ha ammesso Menia -. La politica di oggi è volgare e squallida, chi grida di più vince. Non c’è più un fuoco sacro ad animare l’impegno di ciascuno, mentre io credo ancora che nella sua essenza la politica sia un esercizio di virtù, un impegno per la propria gente, la propria città, la propria patria, intesa senza alcuna retorica».
Valori, questi, che sperano di poter rivedere in futuro sia Menia che Cuperlo, che peraltro ha osservato con ironia sottile come i politici della Prima Repubblica leggessero i libri, mentre quello di oggi siano piuttosto impegnati a scriverli. A sottolineare una distanza di spessore tra i leader attuali e quelli di un mondo che non c’è più (potevano essere Almirante, da una parte, o Berlinguer, dall’altra), in tempi che «non sono stati solo stragi e violenza, che pure hanno sconvolto l’Italia, ma anche un decennio che ha garantito la più grande riforma del nostro Paese», ha detto Cuperlo riferendosi ai Settanta del secolo scorso. Ma nella chiacchierata di una domenica mattina comunque piuttosto affollata, a èStoria, Pietro Comelli ha voluto inserire anche un riferimento al presente e al futuro, ed allora ecco inevitabile la riflessione dei due politici triestini alla guerra in Ucraina. Se da Menia è arrivata l’amara constatazione che «questa crisi dimostra la nullità di questa Europa, che è solo un’unità finanziaria o poco più», Cuperlo ha auspicato che, in prospettiva, «le élite di questo continente possano avere la stessa lungimiranza di uomini come Schuman, Adenauer e De Gasperi», i padri dell’Europa. —