Una sola condanna per l’inchiesta che ha travolto i vigili della Val d’Enza
Piena assoluzione per l’ex comandate e Pallai. Per Fabbiani pena a un anno e 2 mesi
Val d’Enza Assolti perché il fatto non sussiste sull’induzione indebita a dare e promettere utilità; assolti perché il fatto non sussiste sull’abuso d’ufficio; assolti perché il fatto non sussiste sulla truffa; assolti dall’omessa vigilanza. Il solo Tito Fabbiani è stato condannato per abuso di mezzi di correzione e disciplina – i maltrattamenti sono infatti stati derubricati – a un anno e due mesi (pena sospesa), nei confronti tre agenti all’epoca suoi sottoposti (sui cinque che si sono costituiti parte civile).
Una pena minima dunque per l’ex vicecomandante Tito Fabbiani, 59 anni, per il quale il pm Valentina Salvi aveva chiesto invece 6 anni di reclusione e 400 euro di multa; assoluzione piena per la compagna e all’epoca collega Annalisa Pallai 49 anni (per lei erano stati chiesti un anno e quattro mesi per truffa in concorso con Fabbiani); assoluzione piena per l’ex comandante 55enne Cristina Caggiati (erano stati chiesti per lei un anno e sei mesi per abuso d’ufficio in concorso con Fabbiani e omessa denuncia). Quest’ultima, alla lettura della sentenza, è scoppiata in un pianto liberatorio e ha abbracciato singhiozzando Pallai e Fabbiani, con i quali ha conversato nell’attesa intrisa di tensione.
Con questa sentenza clamorosa si è concluso ieri in tribunale a Reggio il processo di primo grado sullo scandalo della polizia municipale dell’Unione Val d’Enza e di un comando, quello di Montecchio, dipinto come “casa Fabbiani”. Il processo – durato quattro anni, iniziato nel dicembre 2019 e slittato causa Covid – ha visto sfilare una quarantina di testimoni, in gran parte ex agenti portati dall’accusa che hanno spiegato nel dettaglio perché tutti fuggivano da quella sede – si è risolto in un flop per la procura perché sono caduti i reati più pesanti, quelli contro la pubblica amministrazione. L’Unione Val d’Enza, dopo la bufera politica da parte delle minoranze per non il mancato intervento, che si era costituita parte civile in virtù del danno d’immagine, è rimasta a bocca asciutta: 3.780 euro di provvisionale a fronte dei 100mila chiesti.
Nella precedente udienza, durante una requisitoria durata ben sei ore, il pm Valentina Salvi che ha guidato l’indagine dei carabinieri ha ripercorso la genesi dell’inchiesta (nata da una lettera anonima), ha ribadito le vicende (l’appartamento che sarebbe stato preso in affitto a prezzo di favore, la Mazda C3 comprata dall’Unione usata da Fabbiani, le vessazioni nei confronti dei sottoposti): «Fabbiani e Pallai facevano quello che volevano, Caggiati non interveniva perché non contava nulla». E aveva proposto il massimo di condanne.
Ieri, la comparsa in aula del procuratore Gaetano Calogero Paci a mo’ di viatico – «a prescindere dalla decisione che il collegio prenderà, un procedimento come questo che coinvolge reati contro la pubblica amministrazione ha una rilevanza sociale e appartiene non solo al pm ma all’intera Procura» ha detto – non ha portato fortuna all’accusa.
Il collegio (presidente Cristina Beretti, a latere Simone Medioli Devoto e Silvia Semprini) si è ritirato alle 10 per uscire due ore dopo con un dispositivo che ha sgretolato l’impianto accusatorio, puntellato proprio dalla gravità de dei reati contro la pubblica amministrazione. I giudici hanno riconosciuto solo le ferite, psicologiche e professionali, raccontate da quella sfilza di agenti che hanno sfilato in aula: un malessere definito un vero mobbing, che ha indotto molti operatori a cambiare lavoro. Il danno – negato alla pubblica amministrazione perlomeno in sede penale – è stato riconosciuto agli agenti, in particolare a tre posizioni su cinque: ma il reato di abuso di mezzi di correzione farà sì che Fabbiani non avrà conseguenze.
La coppia Fabbiani-Pallai, che in passato ha sempre protestato la propria innocenza anche con toni veementi, ieri ha scelto il silenzio. «Tutte le accuse più gravi sono cadute, i reati più pesanti completamente esclusi: Fabbiani non è un corrotto, non è un truffatore – ha commentato l’avvocato Gabriele Riatti, codifensore insieme a Giulio Garuti – Lo auspicavamo. L’esito è sicuramente positivo, a fronte del grande castello di carta e testimonianze proposto dall’accusa». Alla domanda se la coppia – che è stata licenziata a inizio inchiesta ed è in attesa del ricorso – potrà chiedere il reintegro sul luogo di lavoro, Riatti ha risposto: «Non seguo questo aspetto, ma ritengo che ci siano tutti i presupposti». Una assoluzione che avrà conseguenze di tipo civilistico.
Ha rifuggito qualsiasi dichiarazione Cristina Caggiati, apparsa provata. A differenza di Fabbiani e Pallai, l’ex comandante ha già siglato un accordo con l’ente pubblico: tuttora lavora per l’Unione, in un ruolo diverso, ma senza dubbio il suo percorso professionale è stato stravolto da questa vicenda. «Siamo soddisfatti e sollevati», ha detto il legale Aniello Schettino.
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