Letizia Moratti: “No alla legalizzazione, si rischia l’abuso tra i ragazzi”
«Serve una legge per cellulari e gioco d’azzardo contro alcol e droghe c’è poca prevenzione»
I Moratti sostengono San Patrignano da molti anni, prima con Vincenzo Muccioli e poi col figlio Andrea, congedato nel 2011 per vicende legate alla gestione della comunità, fino alla conduzione attuale. “SanPa” non ha mai abbandonato la linea proibizionista e Letizia Moratti sottolinea la coerente validità «dell’impianto normativo vigente nel nostro Paese», sottolineando però la «mancanza di politiche di prevenzione».
C’è un aumento sensibile degli ingressi nell’ultimo anno, è per i lockdown o anche per il fallimento delle politiche proibizioniste?
«Il sensibile aumento è semplicemente un ritorno verso la normalità dopo il superamento dell’emergenza sanitaria. Infatti, durante il 2020 gli ingressi si sono fermati per mesi a causa del lockdown. Le campagne antidroga non si sono fermate nel 2021, bensì sono ferme da molti anni per la mancanza di fondi pubblici a ciò destinati. I due anni di pandemia hanno messo in evidenza come la nostra sia una società in cui fragilità e disagio interessano fasce sempre più ampie di popolazione, a prescindere dall’età e dallo status sociale. Crisi economica, incertezze e scenari internazionali turbolenti provocano crescente malessere generalizzato. Le sostanze stupefacenti funzionano come “anestetico” per chi si trova in situazioni di maggiore difficoltà ed è meno dotato di strumenti o di una rete sociale che aiutino ad affrontare i problemi».
Come dovrebbe muoversi il governo?
«Dopo la Conferenza nazionale sulle dipendenze, San Patrignano e altre 50 comunità terapeutiche hanno esposto chiaramente alcune proposte al governo. Tra queste, la necessità di una revisione organica del dpr 309/90 che tenga conto delle nuove dipendenze, comprese quelle comportamentali. Penso al gioco d’azzardo e alla dipendenza da cellulare e internet. Occorre fare in modo che il budget della Salute diventi uno strumento per un progetto integrato individuale che parte con la presa in carico e la diagnosi, completando il percorso con il reinserimento lavorativo e sociale. Bisogna anche raggiungere una reale collaborazione e integrazione tra il sistema pubblico e quello privato che del resto sono già ben delineate nelle procedure di accreditamento e di convenzione.
Quale ruolo dovrebbero giocare famiglia e scuola?
«È importantissimo il coinvolgimento delle famiglie, delle scuole e delle agenzie educative in generale. San Patrignano da oltre un decennio porta avanti un’ampia campagna di prevenzione delle dipendenze e del disagio giovanile, il progetto WeFree. Anche durante la pandemia la campagna non è stata interrotta, grazie alla rimodulazione online degli incontri con i giovani, arrivando a coinvolgere oltre 50mila studenti. L’obiettivo è fornire ad adulti ed educatori gli strumenti per riconoscere il disagio e poter intervenire con risposte adeguate, e aiutare i ragazzi ad elaborare il proprio progetto personale».
Alle droghe si associa l’alcol, con campagne di prevenzione debolissime.
«L’osservatorio indica che più di un terzo dei nuovi entrati fa uso patologico di alcol ed è solito alla pratica del bindge drinking. Inoltre, fra i minori accolti in comunità, diversi hanno già fatto le prime esperienze con alcol e sostanze. E’ indubbio che esista un problema di sensibilizzazione alla prevenzione della diffusione di alcolici fra giovanissimi e non. Occorrerebbe intervenire maggiormente sul fronte dei controlli, contrastando la vendita di alcolici ai minori in maniera più efficace».
Rispetto alle droghe “leggere”, come vede le spinte verso la legalizzazione?
«San Patrignano ha oltre 40 anni di esperienza e da sempre ha manifestato serie perplessità riguardo alla distinzione fra droghe “pesanti” e “leggere”. Legalizzando si andrebbe sempre più verso la normalizzazione delle droghe con un messaggio profondamente sbagliato per tutti gli adolescenti, sdoganando completamente l’utilizzo di una sostanza molto dannosa sia a livello cerebrale, soprattutto se assunta in età di sviluppo, sia perché spesso è la porta d’ingresso alle altre sostanze. Nutro una profonda stima per le nostre istituzioni e sono convinta che eventuali scelte in questa direzione non saranno mai assunte in forza di meri motivi economici».
Le politiche antiproibizionistiche però sembrano aver fallito, perché a suo avviso?
«L’impianto normativo vigente nel nostro Paese è estremamente valido e ha bisogno di essere aggiornato alle mutazioni intervenute nel fenomeno. Ritengo soprattutto che vadano applicate alcune sue parti che da oltre un decennio hanno sofferto di un completo abbandono istituzionale. Manca una campagna nazionale di prevenzione strutturata sul territorio anche se ciò è chiaramente descritto e previsto nelle norme vigenti. Perché i regimi alternativi alla detenzione non vengono utilizzati a pieno e migliaia di persone scontano le loro pene in carcere anziché intraprendere un concreto percorso riabilitativo?».