Amerigo, il signore delle ville venete: «Testimoni della salvaguarda di un paesaggio ancora riconoscibile nella sua unicità»
Restucci è a capo dell’Istituto chiamato a vigilare sulle 4200 dimore storiche: «In esse convivevano la residenza raffinata e il lavoro nella campagne»
VENEZIA. Casa e bottega, si direbbe oggi. E con i più rispettosi distinguo questo erano – e sono – le splendide ville venete appoggiate su quest’angolo di pianura e collina a cavallo tra due regioni: Veneto e Friuli. 4.243, (3.807 nella terra governata da Luca Zaia, 436 in quella sotto Massimiliano Fedriga) splendidi «testimoni della salvaguardia di un paesaggio ancora riconoscibile nella sua unicità». Così le racconta e le difende Amerigo Restucci, presidente dell’Irvv (Istituto regionale ville venete. ). «Carlo Goldoni nelle sue commedie ce le ha consegnate come luoghi di villeggiatura per un patriziato in fuga dalla noia della città e alla ricerca di piacere e svago», aggiunge, «In realtà in esse convivevano la residenza raffinata e il lavoro nella campagne». Casa e bottega, appunto. «E ancora oggi mantengono fede a questa loro missione», continua Restucci, «nelle destinazioni d’uso conservate o reinventate dai loro attuali proprietari». Piccoli, grandi gioielli di un’economia allora agricola, oggi affidata anche a turismo, ricevimento e viticoltura.
Nato a Matera, primi studi a Bari ospite dei nonni, poi la laurea a Firenze, incarichi universitari fino alla carica di rettore dello Iuav di Venezia, dove ancora vive, Restucci è ormai a tutti gli effetti veneto. È arrivato in laguna a metà degli anni Settanta del secolo scorso e qui è rimasto, con toccate e fuga in tutt’Italia per lavoro. «Mi manca ancora la cadenza», ammette sorridendo e abbozzando qualche parola in dialetto.
Dal 2020 è presidente dell’Irvv, nominato da Luca Zaia. Lui politicamente è da tutt’altra parte, ma competenza, passione e professionalità non vestono casacche di partito. Lo sa lui e lo sa il presidente più amato d’Italia.
Come nasce questa sua passione per le ville venete?
«Amo la laguna, le linee morbide della pianura, i colori delle colline, la vicinanza a quelli che io chiamo birilli della cultura di questa terra: le ville, appunto. Mi piace pensare che gli abitanti di queste splendide dimore, siano essi i proprietari o i contadini che ci lavoravano e lavorano, abbiano preservato a modo loro la storia. Ai miei allievi ho sempre insegnato che il paesaggio veneto fermato nei quadri di Cima da Conegliano, Lorenzo Bastiani, Bellini è riconoscibile ancora oggi. Ricordo quando partimmo alla ricerca dei luoghi dipinti da questi autori in auto. Li ritrovammo nelle colline di Conegliano, dopo aver gustato anche il nettare di quelle terre».
Cosa rende uniche queste dimore?
«Sgomberato il campo dalla convinzione che fossero solo luoghi dell’otium dei nobili in campagna, partiamo dall’opera del Palladio, che giovane lapicida, si trovò a Roma a confrontarsi con Colosseo, Pantheon, ma anche con le ville rustiche, simbiosi di vita e lavoro. Tornò nelle sue terre e, forte del suo genio, elaborò il modello veneto. Ed ecco la villa come fabbrica, dove il gusto del vivere nella bellezza si sposa con la coltivazione di vigneti e campi. La scoperta dell’America spostò il baricentro dell’attenzione dagli scambi commerciali via mare a una riscoperta dell’economia dell’entroterra. Un intrecciarsi di interessi che rendono vitali ancora oggi questi capolavori di architettura».
Come si può mantenere questo patrimonio unico?
«Regalandogli la dignità di essere ancora a suo modo partecipe e produttore di ricchezza. Non mi scandalizzo se i proprietari, eredi di famiglie storiche o nuovi acquirenti che siano, aprono le porte di queste magnifiche ville a matrimoni, convegni o s’impegnano a far fruttare con vigneti o altro le pertinenze agricole. Anzi, ben vengano le attività che continuano a garantire vita e vitalità a questi testimoni del tempo. Come istituto (una grande squadra nonostante i numeri risicati: 9 dipendenti contro i 20 previsti in pianta organica), vegliamo sulla conservazione ponendo precisa attenzione ai lavori di restauro. Il nostro impegno è volto anche a contribuire a queste operazioni con interventi che non superano il 20 per cento della spesa totale. Con i proprietari puntiamo su sostenibilità e qualità grazie a un’accurata scelta di materiali e tecnologie. E il consenso che incontriamo è interessante».
Ha una dimora preferita delle oltre quattromila censite come ville venete?
«Ognuno ha una sua bellezza. Quali citare? Villa Focarini a Malcontenta, la Rotonda, Villa Barbaro a Maser?».
Ville come motori dell’economia ancora oggi?
«Venezia, considerata da sola, è al quinto posto in Italia nella classifica della capacità di attrarre viaggiatori. Il Veneto è al primo proprio per la varietà del suo paesaggio che è fatto di città d’arte, colline, Dolomiti e ville venete attorno alle quali costruire percorsi cicloturistici».
Quali le azioni messe in campo come Irvv?
«I fronti su cui lavoriamo sono molteplici: c’è la formazione e qui abbiamo in atto un progetto con l’ufficio scolastico regionale. C’è il rapporto di mediazione e confronto tra Ministero dei Beni Culturali e proprietari. E ancora ci sono le molteplici attività aperte al pubblico per rendere queste dimore patrimonio condiviso»