Jake La Furia è da sempre una leggenda. Una di quelle leggende per cui quello status pare mio. Ma il lato più affascinante della figura dell’artista formerly known as Fame è che a lui di questo status pare non fregare nulla. Di primo acchito può pure sembrare una posa, un freddo tentativo di auto-protezione, poi parlandoci anche solo per dieci minuti ci si rende conto di come davvero, a Jake, freghi solo di fare quello che lo diverte. E rompere i coglioni.

Non mi capita spesso di segnarmi delle barre al primo ascolto, eppure quando ti ho sentito dire che hai sempre scritto di getto e non ti sei mai impegnato mi si è illuminato qualcosa. Mi colpisce perché se penso a questo disco e a 17 (l'album con Emis Killa) sento un sentimento di rivalsa, un tentativo di dire quasi: “Lo zio vi ha fatto giocare per un po’, adesso basta. Il rap si fa così”. Il tuo mood è sempre stato “non me ne frega niente e di nessuno” - penso ai singoli estivi, però poi c’è un legame molto forte con il genere -… Quanto è vero che non ti impegni e che non te ne frega?
«È una cosa di attitudine, che mi preserva da un sacco di sbattimenti e preoccupazioni. 
Facendo le dovute virgolette, anche Maradona giocava bene a calcio ma non si impegnava mai, io ho sempre vissuto la musica con questo spirito. 
Molto spesso faccio musica di getto, senza pensare tanto a quello che sto facendo.. Intendo quello per non impegnarsi. Ho scritto la maggior parte dei pezzi della mia carriera in un quarto d’ora. Sono arrivato a più di una generazione scrivendo in questo modo spensierato. 
Non c’è in alcun modo la volontà di denigrare la mia musica, è semplicemente un modo immediato per dire che non faccio musica a tavolino. Il fatto che poi, per fortuna, mi riesca particolarmente bene, mi solleva. Mi fosse andata peggio mi sarei impegnato di più».

Jake La Furia (ph. Mattia Guolo per Sony)
Jake La Furia (ph. Mattia Guolo per Sony)

Secondo me l’omologazione di tutti i generi musicali alla musica trap ha rotto i coglioni. Ovviamente rimangono i capisaldi del genere, dopodiché sembra 150 volte lo stesso pezzo e la gente adesso chiede di nuovo di sentire altre cose, tipo del rap fatto diversamente

Sì, in realtà, non ho mai pensato volessi denigrare la tua musica, ma mi interessa capire quel sentimento che per un po’ hai avuto nei confronti del rap. Diciamo che si capiva che a un certo punto ti eri rotto. Poi il featuring con Nerone e il disco con Emis sembra ti abbiano fatto tornare quella fotta. Anche la collaborazione in questo disco con Emis Killa ricorda un po’ l’intro del vostro disco insieme. Hai sempre avuto comunque una sorta di “rispetto” per la scena rap underground, nel tuo disco precedente c’era E-Green, in questo Inoki. Però, volevo capire… che cosa ti aveva rotto il cazzo? Mi ricordo che una volta parlammo di un articolo che avevo scritto che recitava una cosa tipo “Chadia farà tornare Jake a rappare” e tu mi avevi detto: “Il prossimo pezzo che esce sarà reggaeton, così te ne vai a fanculo”...
«(ride, nda). Quella è la completa imprevedibilità del mio carattere… 
Mi prendo un momento per spiegarti questa cosa: io vorrei essere libero di poter fare quello che mi pare musicalmente parlando, che è quello che fanno gli artisti urban nel resto del mondo. Nessuno rompe i coglioni a Bad Bunny se un giorno fa un pezzo latin trap e il giorno dopo ne fa uno reggaeton. Poi, aggiungo una cosa importante, tantissimi artisti rap fanno musica “munnezza” travestita da musica pop. 
Vorrei capire. 
Perché quelle canzonette hanno più valore del reggaeton? 
Perché se uno fa un pezzo pop, con un cantante pop, arrangiato per essere pop e non rappa, continua a essere chiamato rapper? 
Non capisco. Io ho sempre rappato, io mi sento di essere sempre stato legato al rap, anche quando ho fatto dei pezzi latin. Questa cosa non c’entra niente col fatto che io sia tornato a fare un disco 100% rap, dalle rime che ci sono sempre state alle sonorità delle produzioni. 
La voglia di fare tutto ciò mi è tornata rincominciando a collaborare sulle delle robe proprio Hip Hop. Così facendo ho visto che quella roba, oltre al fatto che è quella che mi viene meglio, aveva una domanda, perché secondo me l’omologazione di tutti i generi musicali alla musica trap ha rotto i coglioni. Ovviamente rimangono i capisaldi del genere, dopodiché sembra 150 volte lo stesso pezzo e la gente adesso chiede di nuovo di sentire altre cose, tipo del rap fatto diversamente. Anzi, mi permetto di dire anche “fatto meglio”, che non è mai male. 
È assolutamente vero che questo disco è il proseguimento naturale del disco con Emis e che lo stesso vale per il brano con lui nel mio disco, pensato per essere il continuo di Broken Language, uno dei pezzi su cui puntavamo meno e che invece è stato uno dei grandi successi di 17. È stato divertente rifare un pezzo così, che come avrai sentito non ha nessuna ambizione discografica, ma è solo una tamarrata galattica. Ma ora arrivo alla tua curiosità più grande (ride, nda): mi ero rotto il cazzo, sì. Mi ero rotto il cazzo perché in quel momento volevo prendere una direzione, sempre rap, ma forse più pop, più melodica, andando a fare dei brani come in Fuori da Qui, che però non mi ha dato grandi soddisfazioni. Non so se quel disco non sia stato capito o semplicemente facesse cagare, però diciamo che in quel momento lì mi sono sentito di andare in una direzione diversa rispetto al mio pubblico, per cui mi ero forse rotto le palle di fare quelle cose che accontentavano tutti e a quel punto ho scelto di fare altro, con la massima spensieratezza. 
Non mi sono mai seduto a un tavolo a pensare: “Oh, adesso faccio un bel pezzo reggaeton”. Ho fatto un pezzo latin e dei brani che mi sono riusciti anche particolarmente bene in termini di mercato discografico, per cui basta. 
Ora ho voglia di rappare così, non ti nascondo che domani magari mi sveglio e torno al reggaeton. E lo farò, sbattendomene i coglioni».

Jake La Furia

Jake La Furia

Jake La Furia
Mattia Guolo per Sony Music

…Se vogliamo proprio analizzare la “rabbia” nei confronti di quei pezzi, non è tanto per i brani in sé, ma per il contesto in cui uscivano. Era un periodo in cui il rap “vero” sembrava non esserci più a livello mainstream. Più volte ho sentito dire “Ci ha lasciato anche Jake”.
«Immagino, ma le due culture sono strettamente legate in tutto il mondo, tranne che in Italia, dove si è sviluppata questa cosa dell’italo-reggaeton, per cui se fai quel tipo di pezzo lì allora non va bene». 

La copertina di Il ferro del mestiere

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La copertina di Il ferro del mestiere

Non voglio cadere nella banalità di chi ti dice che questo è il suo disco migliore, però… effettivamente forse questo è il [mio] disco migliore

In che modo cambia l’approccio a questo disco rispetto ai tuoi due precedenti da solista? Musica Commerciale, per esempio, mi sembrava un disco che fosse l’apoteosi di ciò di cui abbiamo parlato fino ad adesso: rompere il cazzo…
«Si però Musica Commerciale era un po’ una costola della musica dei Club Dogo. Arrivava da lì ed era molto simile a un disco del gruppo, c’erano tante produzioni di Joe, tante dei 2ndroof. Fuori da Qui era una roba molto diversa, non so neanche se definirla pop, era comunque diversa. 
Ho sperimentato un po’, ovviamente la gente mi ha pisciato (ride, nda). 
Questo disco invece è stato fatto con lo stesso spirito di Musica Commerciale, la stessa cazzimma, però con una consapevolezza delle cose fatte bene e degli errori del passato. 
Non voglio cadere nella banalità di chi ti dice che questo è il suo disco migliore, però… effettivamente forse questo è il [mio] disco migliore».

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