Boeri: “Reddito di cittadinanza fondamentale subito una legge sul salario minimo”
![Boeri: “Reddito di cittadinanza fondamentale subito una legge sul salario minimo”](https://laprovinciapavese.gelocal.it/image/contentid/policy:1.41558601:1657309693/obj126006799_1.jpg)
L’ex presidente Inps: «Servono correzioni ma è una misura che non si può cancellare. Per gli stipendi solo aumenti una tantum, bisogna evitare una spirale con i prezzi»
Correggere ma non cancellare il reddito di cittadinanza e poi introdurre per legge il salario minimo. Quanto ai contratti bene che si allineino salari a produttività nei settori e nelle imprese in cui i datori di lavoro hanno troppo potere negoziale, ma nessun automatismo per evitare di innescare una spirale salari-prezzi che finirebbe per danneggiare innanzitutto le famiglie più povere. Di fronte ad una inflazione all’8% e all’aumento delle disuguaglianze, questa è la ricetta di Tito Boeri. «Le preoccupazioni che oggi abbiamo - spiega l’economista della Bocconi - sono innanzitutto legate all’inflazione che non ci eravamo più abituati ad avere a questi livelli. Si tratta innanzitutto di un problema che riguarda le persone che hanno un reddito fisso, slegato dalle dinamiche dell’inflazione. Molte famiglie che sono in stato di povertà si trovano in queste condizioni - aggiunge - per cui trovo paradossale che in questo momento ci siano politici che fanno una campagna sostenendo che bisogna ridurre il reddito di cittadinanza e gli altri strumenti di contrasto della povertà quando invece questo è il momento di rafforzarli e di tutelare di più le famiglie che hanno bisogno».
L’Rdc però ha anche mostrato diversi limiti.
«È vero: ci sono molti correttivi da fare al Reddito di cittadinanza perché è strutturato male e non aiuta sufficientemente i nuclei numerosi ed aiuta troppo le persone singole. Poi ci sono alcuni problemi legati al passaggio dall’Rdc al lavoro da mettere a punto. Però questo è uno strumento fondamentale che non si può smontare: soprattutto in questo momento abbiamo bisogno di una misura universale di contrasto della povertà».
Sull’inflazione che ora spaventa tanto, banchieri centrali ed economisti non hanno però sbagliato previsioni?
«Non voglio fare una difesa corporativa. È indubbio che i banchieri centrali, a partire dalla Federal reserve americana, si siano mossi con ritardo nell’affrontare l’inflazione. Ed è vero che a più riprese hanno dato messaggi rassicuranti, dicendo che si trattava di un fenomeno temporaneo che si sarebbe sgonfiato rapidamente. Ma c’è una ragione per cui danno questo tipo di messaggi…».
Quale?
«Che l’inflazione è qualcosa che si manifesta anche in base alle aspettative delle persone: se tutti si convincono che ci sarà un aumento dei prezzi a quel punto avremo i lavoratori che chiederanno anche in anticipo di aumentare i propri stipendi per fronteggiare il calo del loro potere d'acquisto, le imprese che si rifaranno sui consumatori aumentando i prezzi e le famiglie che tenderanno ad anticipare decisioni di spesa per paura dei possibili rincari, col risultato di mettere in moto un vero e proprio circolo vizioso. Per cui se i banchieri centrali tendono a sminuire i rischi di inflazione lo fanno per cercare di raffreddare le aspettative. Fa parte del loro mestiere».
Gli economisti, invece?
«Chiaramente gli economisti non prevedono le guerre, non è il loro mestiere. Ma se guardiamo alla inflazione “core”, ovvero quella slegata dai prezzi dell'energia e delle materie prime importate, prezzi in gran parte legati a fattori geopolitici, tutti - tutti gli economisti che conosco - avevano previsto che sarebbe aumentata ben sopra il livello obiettivo del 2 per cento».
Quindi come si affronta questa emergenza?
«Proprio perché c’è questo effetto sulle aspettative è fondamentale affrontare i problemi posti sul fronte della povertà e della distribuzione del reddito senza mettere in piedi una spirale inflazione-salari-prezzi perché finirebbe per mettere in difficoltà soprattutto le famiglie più povere. Cosa che bisogna evitare in tutti i modi».
I sindacati rivendicano aumenti salariali allineati all’inflazione: sbagliano?
«Bene che ci siano aumenti dei salari in quelle realtà in cui i lavoratori non sono pagati in base alla loro produttività, perché c’è un potere negoziale eccessivo del datore di lavoro. Ma dobbiamo assolutamente evitare di ripristinare meccanismi di indicizzazione automatica come la Scala mobile che hanno avuto grandissima responsabilità nell’impennata dell’inflazione negli anni ’80».
Le altre piaghe sono precarietà e lavoro povero. Per l’Istat in 4 milioni non arrivano a 12 mila euro lordi l’anno e 1,3 milioni che percepiscono meno di 8,41 euro l’ora...
«È per questo che ci sarebbe bisogno di avere un salario minimo in Italia. È davvero sorprendente che tra i sindacati ci sia ancora chi si oppone a questa idea. Il vero problema oggi in Italia è che c’è una quota di lavoratori sempre più importante che sfugge alle maglie della contrattazione collettiva. Per questo serve una legge che fissi un livello retributivo orario minimo al di sotto del quale non si può scendere in tutti i settori, per tutte le imprese, per tutti i lavoratori».
Una soluzione «alla spagnola» come la riduzione dei contratti più precarizzanti, può servire?
«Gli spagnoli partono da una situazione molto diversa dalla nostra perché sono arrivati ad avere sino ad un terzo dei lavoratori dipendenti che avevano dei contratti temporanei e quindi hanno dovuto fare degli interventi molto drastici per limitare le assunzioni con contratti a tempo determinato. Noi dobbiamo intervenire soprattutto sulla loro conversione in contratti a tempo indeterminato incentivando le imprese a fare questa trasformazione. Singolare che dopo il parere della Consulta nessuno abbia più usato parlare di come riformare i contratti a tempo indeterminato per offrire tutele crescenti in base all'anzianità aziendale».