Gelmini: “Agenda Draghi anche dopo il voto. Il riformismo non è un pranzo di gala”
La ministra per gli Affari regionali: «Chi stacca la spina al governo condanna il Paese. Il percorso del Pnrr va continuato dal futuro governo a prescindere da chi vincerà»
Roma. La priorità è portare avanti «l’agenda Draghi», il Pnrr non si esaurisce nel 2022 ed è auspicabile che «le forze liberali e riformiste siano sempre più protagoniste e convergenti». La ministra Mariastella Gelmini chiede «responsabilità» a tutte le forze di maggioranza, definisce «fisiologiche le fibrillazioni» alla viglia della campagna elettorale, ma avverte: «Chi stacca la spina al governo, stacca la spina al Paese». Proseguire l’agenda Draghi, precisa, «non vuol dire tirarlo per la giacchetta. Ma non possiamo sprecare il lavoro fatto da questo governo, questo piano di riforme deve andare avanti, chiunque vincerà le elezioni».
A proposito di forze liberali e riformiste, ci sono grandi manovre al centro. Lei ha partecipato all’iniziativa di Toti: è interessata a quello che succede da quelle parti?
«Ho partecipato all’evento di Toti – che è un governatore con il quale collaboro a livello istituzionale e rappresenta un movimento che sostiene il governo – perché mi interessa parlare di contenuti e dell’azione del Governo, della sfida che il Paese sta affrontando. Le formule politiche e le etichette le lascio, in questa fase, ai leader di partito: rispetto comunque ogni operazione politica che si ponga nell’ottica del buongoverno, del buonsenso, di un sano riformismo».
Però Berlusconi ha bocciato l’iniziativa del governatore della Liguria dicendo che il centro è Fi. Ma centrodestra e centrosinistra attuali sono coalizioni in grado di governare?
«Il bipolarismo obiettivamente in questa legislatura non ha dato grande prova di sé. Per quanto mi riguarda spero che le forze liberali e riformiste, che rifuggono da populismi e sovranismi, saldamente ancorate ad una visione europeista e atlantista, siano sempre più protagoniste e convergenti. Oggi per me il riformismo è innanzitutto l’agenda del Pnrr».
Ma, appunto, in entrambe le coalizioni ci sono forze che si riconoscono poco o per niente nell’agenda Draghi. E dalla Lega a M5s c’è il timore che crisi economica e inflazioni provochino una rabbia sociale che punirà chi è al governo. Draghi riuscirà a fare la sintesi?
«L’agenda Draghi, legata a doppio filo al Pnrr, non può essere “solo” l’impegno dell’attuale governo: il Piano nazionale di ripresa e resilienza vuol dire risorse e crescita coniugata alle riforme di modernizzazione del Paese. I partiti di governo, se non vogliono far perdere questi soldi agli italiani, dovrebbero prima di tutto impegnarsi a proseguire il percorso del Pnrr anche nella prossima legislatura, indipendentemente da chi vincerà le elezioni. Altrimenti sì che sarà un disastro per il Paese, perché vorrebbe dire abdicare al riformismo e quelle difficoltà economiche e sociali di cui lei parla le dovremmo affrontare senza le risorse dell’Europa e senza la crescita aggiuntiva prodotta dal Pnrr. Sui rincari abbiamo stanziato in sei mesi oltre 34 miliardi senza creare nuovo debito e avremo spazio in legge di bilancio per intervenire sui salari».
In ogni caso, lei ha detto che non ci si potrà alleare con chi dovesse scegliere di far cadere Draghi. E’ un messaggio a Salvini?
«Fra sette o otto mesi si vota. In questo secondo semestre dell’anno dobbiamo realizzare gli obiettivi del 2022 del Pnrr e scrivere la legge di bilancio. Chi stacca la spina al governo – prima di aver completato entrambi questi obiettivi – stacca la spina al Paese. E per cosa? Per qualche punto percentuale in più alle elezioni? La Lega ha fatto una scelta di responsabilità: voglio sperare che sia coerente fino in fondo perché le emergenze non sono finite. I cittadini chiedono nettezza sulla linea politica, ci si confronta sui contenuti, sulle riforme quello è il banco di prova delle alleanze. Da liberale mi preoccupa lo scarso entusiasmo sulle riforme. Il riformismo non è un pranzo di gala».
Cosa pensa dei nove punti M5S? E come vi regolerete se passeranno Ius Scholae e legalizzazione cannabis?
«Il dubbio che viene è che abbiano precostituito un pretesto per uscire dal governo come e quando lo riterranno. Per quanto riguarda Ius scholae e cannabis sono temi dai quali l’esecutivo sta fuori. Sarebbe sbagliato mettere in crisi il governo su un voto di un ramo del Parlamento, ma è legittimo che chi è contrario faccia la sua battaglia. È la logica conseguenza di portare in aula temi divisivi. Personalmente sono favorevole alla cittadinanza per i ragazzi dopo otto anni di scuola, e contraria alla cannabis».
Ancora non c’è stato il vertice di chiarimento del centrodestra. Fdi rivendica il rispetto di una regola: chi prende più voti è il candidato premier della coalizione. Siete pronti a sostenere Giorgia Meloni per la presidenza del Consiglio?
«È una domanda che non deve rivolgere a me, io mi occupo del governo. Di certo mi pare che servirebbe un maggior confronto politico nel centro-destra. In questi anni la guerra e il Covid stanno trasformando la politica mondiale e il centro-destra dovrebbe un po’ aggiornare la sua visione di Paese. Penso, ad esempio, a temi come l’ambiente che sono sottovalutati».
Nel pacchetto di richieste della Lega c’è l’autonomia, su cui lei sta lavorando. Riuscirete ad approvarla?
«Non è solo una richiesta della Lega e neanche solo delle regioni di centro-destra, visto che a Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria si sono aggiunte anche Emilia Romagna e Toscana. La sfida è quella dell’efficienza e della responsabilizzazione delle classi dirigenti: mi auguro che la legge quadro abbia il sostegno di tutta la maggioranza».
È ripreso il dialogo sulla legge elettorale: Fi voterebbe un sistema proporzionale con premio di maggioranza?
«La legge vigente non ha dato buona prova in questa legislatura. Il dibattito che si è aperto anche sul proporzionale merita rispetto, ma personalmente credo che cambiare il meccanismo elettorale alla vigilia delle elezioni sia molto complicato».