Radio Free Europa, l’avamposto della nuova Guerra Fredda dell’informazione
INVIATO A PRAGA. L’avamposto della nuova Guerra Fredda dell’informazione si trova in un grande edificio grigio nella periferia di Praga, a dieci metri dalla tomba di Franz Kafka. Qui ha sede Radio Free Europe/Radio Liberty, il network lanciato negli Anni 50 dalla Cia per infiltrarsi oltre la Cortina di Ferro e fare contro-informazione in lingua locale nell’Unione Sovietica e negli Stati satellite. L’attività è continuata anche dopo la caduta del Muro di Berlino e oggi, in seguito all’invasione russa in Ucraina, il suo ruolo è tornato centrale, nonostante i tentativi di Mosca di oscurarne i contenuti e di perseguirne i giornalisti, molti dei quali sono stati costretti all’esilio proprio nella capitale della Repubblica Ceca.
La voce di Radio Free Europe/Radio Liberty (Rfe/Rl) non arriva più soltanto via radio come nel secolo scorso. Il network diffonde le informazioni su diverse piattaforme e conta 37 milioni di utenti unici al mese: oltre alle pagine web, ci sono i canali social, una web tv e una radio che trasmette 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Notizie, reportage, video, documentari, podcast vengono prodotti in 27 diverse lingue in 23 Paesi nei quali «ci sono limiti alla libertà d’espressione». Non soltanto in Russia e nei Paesi dell’area post-sovietica, ma anche per esempio in Iran, Afghanistan e Pakistan grazie a una rete di 700 giornalisti impiegati a tempo pieno e circa 1.300 freelance che lavorano in 21 redazioni, tra cui il quartier generale di Praga.
Dal 1971 la Cia non è più coinvolta, ma il progetto è finanziato dal Congresso americano, che ha appena deciso di incrementare il budget per il 2023: 132 milioni di dollari. «Noi però siamo un media indipendente», assicura Jamie Fly, amministratore delegato del gruppo ed ex consigliere del senatore repubblicano Marco Rubio. Spiega che le redazioni sono diventate un bersaglio di intimidazioni: quella in Bielorussia è stata chiusa in seguito a una serie di atti vandalici. Anche l’ufficio di Mosca ha abbassato la saracinesca il 4 marzo, dopo che Mosca ha bannato il sito e tutti i servizi in lingua russa. Fino a quel momento c’era un tacito accordo con il Cremlino: Russia Today veniva lasciata libera di trasmettere in Europa e Rfe/Rl in Russia. Ma la guerra ha cambiato tutto.
I giornalisti che erano a Mosca sono stati trasferiti a Kiev, a Riga e soprattutto a Praga. «È un nostro dovere accogliere chi non ha la fortuna di fare liberamente il giornalista nel proprio Paese», riconosce Jan Lipavsky, ministro degli Esteri della Repubblica Ceca, il Paese che guida la presidenza dell’Unione europea. Il servizio in lingua russa, comunque, non si è fermato. Diversi cronisti sono rimasti nel Paese, anche se sono costretti a lavorare nell’anonimato. Gli altri scrivono dall’esilio.
È il caso di Andrey Shary, direttore del servizio in lingua russa, che lavora a Praga. All’inizio del 2021 ha dovuto lasciare Mosca per via delle pressioni: ha ricevuto una multa da mezzo milione di dollari. Dice che nel suo Paese non ci tornerà più: «Un anno fa mio padre è morto: io ero qui e non sono potuto andare al funerale. La cosa più dolorosa e che non vedrò mai più nemmeno mia madre». I due si sentono al telefono, «ma abbiamo una regola: non parliamo mai di politica. Lei è anziana e si informa soltanto guardando la tv pubblica perché non ha alternative. Farle cambiare idea è impossibile, per questo evitiamo. Idem con mia sorella maggiore. La guerra è entrata nelle case e ha diviso le famiglie».
Nonostante le pressioni e le restrizioni, i contenuti in lingua russa continuano ad avere una audience importante, anche all’interno del Paese. Il sito offre un vademecum che spiega come bypassare i blocchi, utilizzando Vpn. Inoltre YouTube e Telegram sono ancora accessibili. «La gente ci legge e i contatti restano alti – spiega Sergey Shal, producer della web tv –, ma abbiamo perso engagement perché non ci mettono più i like e non condividono i contenuti. Basta un “mi piace” per finire nei guai».
Da pochi anni, Radio Free Europe/Radio Liberty ha ripreso le trasmissioni anche in alcuni Stati dell’Ue: Ungheria, Romania e Bulgaria. «La libertà di stampa è in costante declino – ripete l’ad Jamie Fly –, la nostra missione è oggi più importante che mai».