Usa, la Camera ripristina il diritto all’aborto: vietate le restrizioni. Ora scoglio Senato
Il via libera con 219 voti a favore e 210 contrari. In Senato i democratici avrebbero bisogno di almeno dieci voti dei repubblicani per far approvare in via definitiva la legge
Qualcuno ha parlato di «ritorno al Medioevo». Quasi tutti hanno lamentato un «diritto fondamentale abolito». Non si è mai fermata la protesta – non solo negli Stati Uniti – dopo la decisione della Corte Suprema, che ha abolito la storica sentenza roe v. Wade, che legalizzava le interruzioni di gravidanza negli Stati Uniti. Oggi il primo passo indietro: la Camera americana, a maggioranza democratica, ha infatti ripristinato il diritto all'aborto a livello nazionale, vietando quindi le restrizioni sull’interruzione di gravidanza. Il provvedimento è stato approvato con 219 voti a favore e 210 contrari. Ora, però, la palla passa al Senato, dove difficilmente sarà approvata: i democratici, infatti, avrebbero bisogno di almeno dieci voti dei repubblicani per far approvare in via definitiva la legge. E quindi il passo avanti di oggi potrebbe rivelarsi un nulla di fatto.
Al momento l'aborto è legale solo in alcuni Stati. E i democratici temono che i conservatori vogliano bloccare anche la possibilità per le donne di andare in un altro Stato per sottoporsi all'intervento.
Dopo la decisione della Corte Suprema, era stato lo stesso presidente americano Joe Biden a invitare tutte le donne a «continuate a protestare. Continuate a tenere il punto. È di cruciale importanza». Poi aveva aggiunto: «Come Presidente, non ho l'autorità per dire che reintegreremo la "Roe v Wade" come legge del paese. L'unico modo in cui saremo in grado di farlo è attraverso un'elezione del Congresso degli Stati Uniti che voterà una nuova legge nazionale e che io sarò ben felice di firmare quando accadrà».
Sul caso, invece, della bimba di 10 anni stuprata e costretta andare in Indiana per sottoporsi all'aborto, visto che nel suo stato, l'Ohio, era entrato in vigore il divieto all'interruzione di gravidanza dalla sesta settimana, «provate a mettervi nei panni di quella bambina, ha solo 10 anni", aveva esortato l’inquilino della Casa Bianca.
È di oggi anche la notizia che in Arizona, quasi quattro anni dopo aver messo fine a una gravidanza con pillole abortive, ottenute da una clinica a Phoenix, una donna si è vista citata in una causa. L'ex marito ha infatti denunciato per "ingiusta morte" la clinica e i suoi medici per non aver ricevuto il "consenso informato" dalla donna, come richiesto dalla legge dell'Arizona. La donna aveva abortito alla settima settimana di gravidanza. La causa, avviata nel 2020,è' emersa in questi giorni perché, alla luce della sentenza della Corte Suprema, che ha revocato il diritto federale all'aborto, potrebbe spingere altre persone a fare causa, considerando l'embrione o feto nelle prime settimane già un essere umano. Secondo gli esperti legali contattati dal sito americano ProPublica, i gruppi anti-abortisti sono intenzionati a portare fino all'estremo le conseguenze della decisione della Corte, in modo da scoraggiare nei medici qualsiasi tentativo di aiutare una persone che vuole abortire, anche in caso di incesto, stupro o malformazioni.