Cosenza, si dimette l’ultimo ginecologo non obiettore di coscienza: “In città abortire non è più un diritto”
Il dottore Francesco Cariati non lavora più all’Annunziata e “a Cosenza non è più possibile abortire”. La denuncia è del collettivo “Femin cosentine in lotta” che sui social, da giorni, ha segnalato che l’ultimo ginecologo non obiettore di coscienza si è dimesso dall’ospedale pubblico. Risultato: nella città calabrese non c’è più un medico che possa aiutare le donne a interrompere la gravidanza. Con buona pace della legge 194, quindi, chi desidera abortire non potrà farlo in una struttura pubblica. Le donne dovranno spostarsi di 50 chilometri e ricoverarsi all’ospedale di Castrovillari dove tra l’altro è possibile fare solo l’interruzione chirurgica e non quella farmacologica.
“Le responsabilità in questa regione hanno dei nomi e dei cognomi e non daremo loro pace finché i nostri diritti non saranno garantiti. – scrive il collettivo Femin -Se siamo arrivate a questo punto è perché chi in questi anni si è seduto in consiglio regionale e ai vertici delle aziende sanitarie e ospedaliere non ha mai voluto tutelare il diritto all’aborto. Primari e coordinatori di reparti di ginecologia e consultori, nominati dalla politica, si dicono obiettori di coscienza. Cosa potevamo aspettarci?”.
La denuncia delle “cosentine in lotta” getta un’ombra sinistra che va oltre la scelta del singolo medico: le femministe del collettivo, infatti, insinuano che l’impossibilità delle donne di abortire all’ospedale Annunziata dopo le dimissioni del ginecologo Cariati non sia un caso: “Nelle cliniche private però, le interruzioni volontarie di gravidanza si facevano con zelo, perché garantire un diritto equivaleva a ingenti profitti. Ad oggi, abortire in provincia di Cosenza significa andare a Castrovillari, dove è disponibile soltanto l’Ivg (interruzione volontaria di gravidanza) chirurgico e dove anni fa siamo andate personalmente a togliere dal reparto manifesti pro vita che colpevolizzavano le donne che abortiscono. Per il resto in nessun altro presidio ospedaliero dell’Asp di Cosenza è possibile interrompere una gravidanza, né chirurgicamente, né farmacologicamente”.
Non è la prima volta che il collettivo Femin si occupa di questa tematica: “Nel 2019 – spiegano – abbiamo dovuto raccogliere centinaia di firme per introdurre la pillola abortiva all’Annunziata. Un metodo utilizzato da oltre dieci anni nel resto d’Italia, qui non era mai arrivato. Da due anni in altre regioni lo stesso metodo farmacologico è stato introdotto direttamente nei consultori, evitando l’ospedalizzazione e agevolando le donne in termini logistici ed economici”.
Non si conoscono i motivi per i quali il ginecologo Cariati ha deciso di dimettersi. Di certo ci sono le condizioni di lavoro di un medico che, da solo, si occupava ogni anno di circa 250 interruzioni volontarie di gravidanza. Lo scorso novembre, sul sito iCalabresi.it, aveva spiegato le ragioni della sua scelta di non essere obiettore: “Lo faccio per garantire un diritto: quello che hanno le donne di accedere a un servizio che la legge impone agli ospedali di fornire. Ci sono donne disperate che, se non hanno la possibilità di abortire in ospedale, potrebbero finire in situazioni di illegalità e mettere a rischio la loro vita”.
Ecco perché essere l’unico ginecologo non obiettore di coscienza diventa un’impresa quasi impossibile in un ospedale pubblico. Sempre sul sito del giornale locale, infatti, Cariati ha denunciato di sentirsi “molto solo. Soprattutto perché è complicato garantire ogni settimana questo servizio. I ginecologi non obiettori di coscienza sono animali in via di estinzione. Lavoriamo sul filo dei giorni, il tempo è prezioso. Per le Ivg chirurgiche ho bisogno di anestesisti, ostetriche e infermieri anche loro non obiettori e sono pochissimi, bisogna organizzare e incastrare i turni di lavoro. Al di là delle ferie programmate sempre tenendo conto delle urgenze delle pazienti, non possiamo permetterci di assentarci. Altrimenti il servizio si interrompe”. È quello che è successo adesso, in una sanità calabrese commissariata da oltre 10 anni e che fa i conti con un piano di rientro che ha reso difficili le assunzioni. Una sanità che, da Reggio Calabria a Cosenza, è fatta di reparti sottodimensionati che vanno avanti solo con i sacrifici dei medici, spremuti come limoni in una Regione dove nemmeno l’emergenza Covid ha fatto comprendere alla politica i disastri che la stessa ha provocato trattando ospedali e aziende sanitarie come bacini elettorali dove costruire candidature.
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