Caso tamponi rapidi in Veneto, l’attacco di Crisanti: «Io ho presentato l’esposto, quei test hanno fatto diffondere il Covid»
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Crisanti aveva presentato un esposto contro l’utilizzo dei test rapidi. «Rigoli preferito a me? Sbagliato ascoltare solo chi dice sempre sì»
PADOVA. «Nessuno ha mai pubblicato i dati che confermassero la bontà dei test rapidi. Io, però, i dati li avevo e dicevano tutt’altro. Li ho diffusi e sono stato accusato di ogni nefandezza».
Così Andrea Crisanti.
Nel giorno in cui in Veneto deflagra la notizia della richiesta di rinvio a giudizio del microbiologo Roberto Rigoli e dell’ex dg di Azienda Zero Patrizia Simionato, per “l’affaire” tamponi rapidi, il naturale interlocutore è lui. Il primo consigliere di Zaia nel fronteggiare l’emergenza, poi vittima illustre del presidente: troppo prudente, gli fu preferito Rigoli.
Nodo delle discussioni erano spesso i test rapidi, osteggiati dal docente padovano, che presentò persino un esposto contro il loro utilizzo. Ricevendo, di tutta risposta, un “contro esposto” di Azienda Zero, venendo indagato per diffamazione dalla Procura di Padova. «Ma avevo ragione io» sentenzia ora Crisanti, due anni dopo.
Professore, la richiesta di rinvio a giudizio è stata fatta a partire dal suo esposto?
«Mi creda, non lo so. Apprendo da lei che è stato chiesto il rinvio a giudizio di Rigoli e Simionato. Nel 2020 ho presentato un esposto – non contro di loro, ma contro i test rapidi –, ma da allora non ho ricevuto alcuna notifica».
Si aspettava questo esito?
«Sinceramente no. Mi rincuora, perché significa che un organo esterno e indipendente come la magistratura ha individuato degli elementi che evidentemente non quadravano. Elementi che avevo sempre rilevato. Le ipotesi di reato sollevate sono gravissime. Ma non sono soddisfatto, questa non è la mia rivincita».
Un passo indietro: ci ricorda cos’è successo?
«Io ho sempre detto che i test rapidi non dovevano essere utilizzati per lo screening, perché fornivano un numero troppo elevato di “falsi negativi”. Andavano bene soltanto per la diagnosi, poiché, tra i sintomatici, questi test avevano un valore predittivo positivo molto elevato. Erano attendibili solo con i sintomatici».
Sembra che Rigoli non abbia mai accertato la validità dei test...
«Io ho sempre detto che non erano mai stati pubblicati i dati che validavano queste tesi. Al contrario, io i dati, esito dei miei studi, li avevo pubblicati, venendo accusato di ogni nefandezza. Ma stavo rendendo un servizio pubblico».
Cosa dicevano i suoi dati?
«Che i test rapidi non erano esatti. Ma non ero mica il solo a dirlo».
Chi altro?
«Le stesse case produttrici dei test, nelle specifiche tecniche. Spiegavano che quei test non avrebbero dovuto essere utilizzati per lo screening».
In piena pandemia, lei fu destituito da Zaia dal ruolo di suo referente, e al suo posto arrivò Rigoli. Alla luce di quello che è successo, cosa dice?
«Certe decisioni non dovrebbero essere prese in base all’emotività, ma andrebbero ponderate. Non è opportuno ascoltare soltanto le persone che dicono sempre sì».
Con il moltiplicarsi dei casi, era più comodo avere dei tamponi a basso prezzo, in grado di restituire l’esito in pochi minuti...
«Sarà stato così, ma non era la misura di sanità pubblica giusta. E infatti ha contribuito a far diffondere il virus».