Il fuoco divora otto metri in un minuto: cosi le fiamme stanno distruggendo ettari di bosco in tutto il Fvg
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Terreno secco e zone impervie complicano le operazioni di spegnimento. La sfida dell’elettrodotto
GORIZIA. Ha avuto gambe e muscoli, scatto e potenza, questo devastante fronte di fuoco che ha piegato un territorio, distrutto ampissima fetta di Carso isontino e giuliano, isolato di fatto un capoluogo regionale, Trieste. Ha sfrecciato a una velocità di 8 metri al minuto, notevolissima per chi di incendi qualcosa ne capisce. Divorando latifoglie, roverelle, pini, arbusti, rovi. E si è elevato. Ha corso sulle fronde. Al massimo della sua vigorìa s’è trasformato in un’impressionante colonna piroclastica, un’espressione tecnica, figurativamente paragonabile allo sbuffo di un vulcano in eruzione, che ha raggiunto una quota di 800 metri. Apice di fumi misurato l’altro giorno dal personale dei vigili del fuoco, a bordo dell’elicottero in servizio al corpo.
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Una gran brutta bestia, che sarà ricordata a lungo, tra gli addetti ai lavori. Un incendio, anzi la “combo” di più roghi critici – quello slittato oltre confine dalla Slovenia, quello di Medeazza e l’altro sviluppatosi da Merna – che ha tenuto per tre giorni più comuni sotto scacco. Fuoco, come spiega il comandante provinciale dei Vigili del fuoco di Gorizia Alessandro Granata, che «non ha trovato terreno fertile solo nell’estrema siccità e afa, con tassi di umidità del legname arrivati a livelli limite già da tempo segnalati», tant’è che si temeva l’eventualità di incendi nei boschi, ma nella stessa complessità logistica d’intervento.
«Punti di lavoro – ricorda – che costituivano un tempo la cortina di ferro e per questo privi di strade, dunque difficilmente raggiungibili, per di più con residuati e fili spinati. Proprio ai confini con l’ex Jugoslavia, dove per decenni si era impedita la condivisione dei tracciati e dove quindi si è potuto intervenire solo per via aerea».
E non si è trattato, come pure è stato fatto, di proteggere persone e case, ma anche di mettere in sicurezza – con il supporto di Eni che ha fornito personale – il metanodotto interrato, due stazioni di pompaggio e in più l’elettrodotto. Oggetto, quest’ultimo, di maggiori criticità, non solo per la sua dislocazione in mezzo al bosco, ma perché, spiega Granata, «fuoco ed elettricità fanno a pugni»: le sacche d’acqua lanciate dai canadair dal cielo avrebbero in astratto potuto determinare «dei dardi e fulminare un operatore». Situazioni difficilissime, pertanto, nella tre giorni di soccorsi.
Le risorse sono state tutte mobilitate, cioè uomini e mezzi, con gli elicotteri da Rimini, i canadair da Roma. Anche la forestale e la Protezione civile. La giornata di ieri, chiarisce il comandante, dovrebbe aver rappresentato uno spartiacque, con l’avvio della fase conclusiva dello spegnimento, la bonifica. I focolai sono stati tutti tenuti sotto controllo, ma la cautela prevale. Il rischio che la brutta bestia dia un colpo di coda c’è. «Ma dovremmo farcela», aggiunge Granata. Restano focolai da estinguere «pure nelle zone evacuate: il Vallone fa da fascia tagliafuoco, ma le case fra l’arteria e il confine sono state le più esposte», dice.
L’altra notte si sono alternati 65 pompieri, molti dei quali al doppio turno, con 24 mezzi. Operazioni anche complesse, come a Iamiano, con il nucleo regionale Nbcr (Nucleare biologico chimico radiologico) che ha bonificato, bruciandone in fiaccola il contenuto, un vecchio serbatoio di gpl in disuso da anni. Poi la mattina i fumi scaturiti dalle fiamme a Selz, racconta sempre Granata, hanno creato apprensione perfino all’aeroporto, «infatti i vapori raggiungono il livello alto dell’atmosfera dove toccano uno strato freddo per ricadere a chilometri di distanza», provocando, per via dell’odore acre e il bruciore di gola e occhi, i timori non suffragati dalla realtà di roghi pure a Grado o Turriaco. «Psicosi incontrollate, come l’idea – precisa il comandante – che vi sia in azione un piromane. Circola addirittura la fake news che sia stato “catturato” da una fototrappola, come un capriolo». «Invece questi roghi si sono con ogni probabilità determinati da un mix di fattori micidiali che hanno creato la tempesta di fuoco perfetta – conclude –; per esempio si suppone che all’origine del fuoco poi divampato a Medeazza vi possano essere scintille causate in prossimità dei binari. Per ora, solo l’incendio di Merna pare inusuale», conclude. La gran brutta bestia va ancora studiata.