Svetlana, la sposa vedova di Mykolaiv
Solo tre mesi dopo il matrimonio Andriy è morto sotto le bombe. «Oggi saremmo in luna di miele, i russi mi hanno strappato il cuore»
Il tenente colonnello Andriy Nevydanchuk aveva già visto la fine da vicino, aveva sentito sul collo il soffio della morte quando un missile russo ha centrato la base militare nella quale era di stanza a Mykolaiv. Era una delle cabine di regia della logistica militare ucraina nel Sud, dove i combattimenti sono diventati assai più cruenti nelle ultime settimane. L’ufficiale si occupava infatti del rifornimento delle truppe al fronte di armi, munizioni e materiale bellico. Andriy e i suoi uomini erano sopravvissuti all’attacco e si erano spostati in una postazione assai più defilata, difficilmente individuabile dai droni spia di Mosca. E invece alle tre di notte del 17 luglio, è arrivata l’ennesima pioggia di missili su Mykolaiv, due hanno centrato il rifugio, polverizzandolo e risucchiandolo nella voragine infernale provocata dall’esplosione. Per il tenente colonnello e la sua squadra non c’è stato scampo.
Andriy lo avevamo conosciuto ad aprile, nel suo giorno più felice, quello del matrimonio con l’amore della sua vita, Svetlana Kniaziuk. Lei, che parla italiano, ha aiutato tanti connazionali a fuggire da Kiev nei primi giorni dei bombardamenti, e si era rifugiata a Roma dove sognava di vivere assieme al marito. «Quando finirà la guerra vorremmo andare a Roma», ci raccontò Svetlana, il giorno delle nozze. Un matrimonio fugace il loro come le diverse migliaia celebrati in Ucraina dall’inizio del conflitto. Nulla di quanto sognato, ovvero un viaggio in Europa e un brindisi nella Città eterna. Eppure, quel giorno la città del Sud martoriata dai bombardamenti aveva acquisito un’aurea di magia, complici le fedi splendenti al dito dei neosposi. Lui in mimetica, lei in vestito rosa con velo bianco. «Se non ci fosse stata la guerra oggi saremmo partiti per il viaggio di nozze in Italia senza bombe, sirene e missili», diceva Andriy. Mentre Svetlana spiegava la scelta d’amore dopo tre anni di fidanzamento: «Un segno di speranza in questi momenti tragici, ogni giorno temo per la vita di mio marito e della mia famiglia». La mattina dopo Andriy (per noi era Andrea) ci ha dato appuntamento proprio in quella base, la prima ad essere presa di mira dalla missilistica di Vladimir Putin. Da lì siamo partiti embedded con un suo collaboratore di fiducia, un sergente di ferro rassomigliante a Chuck Norris, verso il fronte di Kherson controllata dai russi. Una missione a ridosso delle prime linee culminata con il lancio di Grad da parte delle forze di Mosca che ci ha costretto a riparare in una chiesetta ortodossa, unico edificio rimasto in piedi nella desolante landa di macerie di Shevchenkove. Il pope, con gli occhi sbarrati alla nostra incursione, si è stretto a noi in preghiera per trovare rifugio nel bunker della fede, mentre il sergente di ferro, con ghigno cinico, ci disse: «Questo è nulla rispetto a ciò che succederà nei prossimi mesi». Una facile premonizione vista la pioggia di missili a cui la zona contesa tra Mykolaiv e Kherson è sottoposta quasi ogni notte. Come quella del 17 luglio. «Lo avevo visto in videochiamata alle 11 di sera. Ero a Civitavecchia. Lui era tranquillo come sempre - racconta Svetlana -. Il giorno dopo mi sono svegliata presto con uno strano presentimento - spiega la vedova -. Ho subito cominciato a chiamarlo sui due cellulari. Uno suonava, ma nessuno rispondeva. Ho cercato tutti, alla fine mi hanno detto che il suo rifugio era stato centrato in pieno. Erano rimaste solo macerie, minime possibilità che qualcuno fosse sopravvissuto».
La sposa di guerra corre nella chiesa più vicina e si getta sull’altare: «Ho pregato tanto, supplicato Dio che non fosse morto». Poi la tragica conferma quando estraggono il corpo di Andriy, 34 anni compiuti da poco. Il dolore si alterna alla rabbia: «Le spie, qualcuno ha informato i russi inviando la posizione esatta». Basisti, quinte colonne, sabotatori, traditori, anche questo è il conflitto russo-ucraino. «Sposa felice il 20 aprile, vedova tre mesi dopo», ripete Svetlana che corre in Ucraina, costretta alla straziante procedura del riconoscimento dei corpi dilaniati. «Lui aveva ancora la testa, le gambe, le braccia, ma il volto era devastato. È stato orribile». Quindi il funerale a Khmelnytskyy, città fra Kiev e Leopoli. «Vi prego raccontate la nostra storia - ripete al telefono - raccontate che i russi mi hanno strappato il cuore». Svetlana pensa di non farcela, inghiottita dal buio della disperazione e del vuoto incolmabile. Da dove però spunta, flebile, una luce. «Andriy voleva un bimbo, ci stavamo provando. Voglio adottare un orfano di guerra, voglio farlo crescere in Italia, voglio dargli il nome e il cognome di mio marito, lo voglio fare per lui e per il nostro amore».