Wärtsilä a Trieste, dal “modello Iri” alla trattativa Ue: ecco quali sono le strade possibili per il salvataggio pubblico
TRIESTE Con la pandemia e la recessione che ha innescato crisi industriali in tutta Europa l’intervento pubblico, un tempo avversato dalla concorrenza europea, ha subìto una accelerazione. Ed è proprio questa la strada per salvare la fabbrica di San Dorligo dopo la fuga produttiva di Wärtsilä: una trattativa con la direzione generale Ue alla Concorrenza dove la crisi triestina sale di livello e diventa una partita strategica e industriale su scala europea, avrebbe buone possibilità di successo.
La richiesta di un via libera di Bruxelles agli aiuti di Stato scatterebbe «non solo per impedire che l’azienda chiuda e salvare l’occupazione» ma anche «per il ruolo strategico che l’Italia e la fabbrica triestina possono avere nella transizione energetica a livello europeo».
[[ge:gnn:ilpiccolo:5482713]]
Ne è convinto Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea alla Bocconi, già consulente sui temi del commercio e degli investimenti internazionali di istituzioni pubbliche tra cui la Commissione Europea, il Parlamento Europeo e la Banca Centrale Europea: «Assistiamo a un forte ritorno di politiche industriali degli Stati -sottolinea l’economista- dove le scelte nazionali tendono a orientare gli investimenti delle imprese private come conseguenza di un cambio di scenario nella geopolitica internazionale in seguito alla chiusura di un importante mercato di sbocco come quello russo». Per Altomonte i governi e l’Europa entrano in campo per fissare le regole della transizione ambientale (come il passaggio all’idrogeno o all’auto elettrica) che alla fine orienta gli investimenti: «Questo ritorno della politica industriale degli Stati -avverte Altomonte- deve però avvenire in modo trasparente senza riportarci all’era dei sussidi pubblici dove l’Italia, con la sua minore capacità di spesa, si troverebbe in difficoltà rispetto a Francia e Germania».
[[ge:gnn:ilpiccolo:5478482]]
L’economista, riportandoci al caso Wärtsilä, ricorda che la normativa europea prevede alcune eccezioni agli aiuti di Stato che possono avvenire «nel caso di grandi crisi occupazionali oppure investimenti di natura strategica». Ed è qui insomma che si può cercare una soluzione “europea” alla crisi. Wärtsilä sta sulla frontiera nella produzione di energia, un settore che oggi è al centro di una vera e propria rivoluzione ad esempio nell’utilizzo dell’idrogeno. I finlandesi aprono a nuovi investimenti ma non fanno marcia indietro disegnando per il sito triestino un futuro di ricerca e sviluppo, vendita e project management.
[[ge:gnn:ilpiccolo:5478194]]
Per Altomonte la crisi triestina si potrebbe sbloccare aprendo in Europa «una seria riflessione proprio sulla natura industriale delle scelte di Wärtsilä che chiude la produzione dei grandi motori proprio mentre assistiamo a fenomeni di reshoring, cioè di ritorno a casa, delle produzioni». «La fuga da Trieste avviene perchè si considera l’Italia poco competitiva oppure è una scelta politica del governo finlandese che vuole riportare a casa una produzione strategica?», si chiede l’economista. Per Altomonte «l’Europa potrebbe rivendicare un’interesse strategico sull’investimento di Wärtsilä (specializzata nella produzione di motori per uso marino e centrali elettriche) dal momento in cui l’Italia diventa uno degli hub energetici fondamentali in Europa per garantire la transizione energetica dovendo rinunciare al gas russo».
I salvataggi pubblici, complice la pandemia e i venti di recessione, stanno avvenendo in tutta Europa in settori strategici e non. In Francia la partecipazione statale è comune nel settore della produzione di energia, soprattutto per quanto riguarda le tecnologie per le energie rinnovabili o il nucleare: Areva (88,41%) ed Edf (84,94%) in Francia e il 69,17 di Enel Green Power in Italia. Il governo francese ha tagliato fuori gli azionisti di minoranza di Edf, passando dal possedere l’85% delle azioni al 100%. A queste si aggiungono altre grandi aziende come Renault e Ilva, nazionalizzate per evitare la perdita di posti di lavoro e proteggere gli interessi nazionali.
In questo scenario Giorgio Brunetti, professore emerito di Strategia e politica aziendale all'Università Bocconi di Milano nonchè autore del saggio «Fra una crisi e l’altra» (Bollati Boringhieri), ipotizza l’ingresso in campo della nuova Iri, la Cassa Depositi e Prestiti: «Lo Stato, complice la pandemia e la crisi, è tornato ad avere un ruolo strategico e industriale. Pensiamo al grande dinamismo della Cdp che se intervenisse per salvare l’attività industriale di Wärtsilä a Trieste nella produzione di grandi motori riporterebbe le lancette dell’orologio ai tempi in cui questo grande complesso industriale era uno dei gioielli dell’Iri. Un ritorno alle origini. Certo in questo caso, dopo una valutazione di mercato, Cdp dovrebbe presentare piano industriale e volumi di produzione».
Brunetti ipotizza anche un ruolo diretto del Tesoro come è accaduto di recente con il tentativo del governo di condurre in porto la privatizzazione di Ita Airways con la richiesta ai privati di un piano industriale e un assetto di governance che tuteli l’azionista di minoranza Mef. Una terza ipotesi può prevedere l’ingresso dei privati come è successo nel caso del rilancio dello stabilimento Ideal Standard di Belluno affidato a una cordata di imprenditori veneti guidati dello scomparso Leonardo Del Vecchio che sono riusciti a salvare l’azienda. «Se ipotizziamo l’uscita di scena dei finlandesi e l’ingresso di una nuova proprietà, pubblica o privata che sia, il problema sarebbe solo la richiesta del mercato», aggiunge ancora Brunetti. Un quarto scenario, meno realistico, potrebbe prevedere invece l’esercizio della Golden Power, i poteri speciali in mano al governo contro le scalate ostili, già utilizzato dal governo Draghi per proteggere imprese strategiche come nel tentativo di acquisizione cinese di un’azienda.
RIPRODUZIONE RISERVATA