D’Incà lascia i 5Stelle: «Errore far cadere Draghi». In 83 non rieleggibili per doppio mandato. Ecco i nomi
BELLUNO. Addio, il Movimento 5 Stelle perde anche il suo rappresentante veneto più noto e con più alti incarichi: il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà.
Bellunese, rappresentante del M5S dalla prima ora, D’Incà ha scritto une lettera molto amara ai vertici.
«Ho riflettuto molto in questi giorni sulle motivazioni e le conseguenze della caduta del Governo Draghi e non posso che prendere atto delle insanabili divergenze tra il mio percorso e quello assunto nelle ultime settimane dal Movimento 5 Stelle, che oggi lascio».
«Avevo spiegato nelle sedi opportune e anche pubblicamente i rischi ai quali avremmo esposto il Paese in caso di un non voto di fiducia nei confronti del Governo Draghi - continua D’Incà - Una decisione a mio giudizio irresponsabile che non ho condiviso e che ho cercato di evitare fino all’ultimo istante lavorando dall’interno del Movimento 5 Stelle, con la speranza che prevalesse una linea di ragionevolezza e con l’unico obiettivo di mettere in sicurezza il Paese, proseguire con le importanti riforme che abbiamo realizzato in questi mesi e ottenere le relative risorse economiche, grazie alla spinta del Movimento».
Poi la scelta di campo: «Avevo anche avvisato sul rischio di una inevitabile frattura a cui avremmo esposto il nascente campo progressista, dopo un lavoro che aveva coinvolto anche i territori da più di due anni fino alle ultime elezioni amministrative di giugno. Purtroppo hanno prevalso altre logiche e altri linguaggi che non possono appartenermi».
La lettera continua con annotazioni personali: «Dopo 12 anni, lascio il Movimento 5 Stelle con profondo rammarico e dolore personale, le nostre strade non sono più sovrapponibili, il solco che si è scavato in questi ultimi mesi non mi consente di proseguire in questa esperienza, per coerenza con le idee e con i valori che ho portato avanti a livello nazionale e locale e che intendo continuare a sostenere».
Peraltro D’Incà sapeva che, con la regola confermata dai vertici del Movimento sul limite del secondo mandato, lui avrebbe lasciato le liste pentastellate rientrando in un gruppo di “esclusi per raggiunti limiti di mandato”, molto numeroso e che riunisce alcuni tra gli esponenti di spicco delle fila grilline.
Tra di loro, come è noto, ci sono molti big ma non solo: tra senatori e deputati il conto, al netto di chi ha seguito il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, arriva a una cinquantina di eletti.
Prima della scissione di Di Maio, infatti, il conto arrivava a 83 parlamentari al secondo mandato, ma sono ovviamente i nomi più roboanti su cui, in queste ore, si sta concentrando l'attenzione.
A partire da Roberto Fico il quale, dopo una legislatura da presidente della commissione di Vigilanza Rai e una da presidente di Montecitorio, sarà costretto a dire addio alle aule parlamentari. Poi c'è la vicepresidente del Senato e del Movimento Paola Taverna, vicinissima a Conte ma soprattutto volto storico e punto di riferimento del popolo penstastellato. Sempre al Senato c'è Vito Crimi, primo capogruppo M5s a Palazzo Madama nella scorsa legislatura e “reggente” per molti mesi.
Anche l'ex-Guardasigilli Alfonso Bonafede è arrivato al capolinea della sua esperienza parlamentare, dopo aver anche fatto parte del Direttorio del Movimento. La lista non si ferma qui, perché ci sono da considerare altri ex-ministri come Riccardo Fraccaro, Giulia Grillo, Nunzia Catalfo e Danilo Toninelli, ministri in carica come Fabiana Dadone e Federico d'Incà, presidenti di commissione come Giuseppe Sibilia.
C'è anche una vicepresidente della Camera (Maria Edera Spadoni) e un sottosegretario alle Infrastrutture (Giancarlo Cancelleri) che ha già dovuto fare un passo indietro alle primarie siciliane a causa di questo impedimento, quando ancora la regola non era stata fissata. Un ulteriore elemento rilevante è che non ci sarà la scappatoia dei mandati di livello diverso: ogni mandato elettivo conterà, sia esso maturato a livello locale che a livello nazionale.
È per questo che il numero di partenti da Montecitorio e Palazzo Madama è così nutrito. A loro si aggiunge l'ex sindaca di Roma Virginia Raggi, che conta tre consiliature in Campidoglio, di cui la seconda come sindaca. Considerando la prima come "mandato zero", con quella attuale anche la Raggi dovrà dire addio a nuove cariche elettive.