I baristi padovani. «Costi enormi, Vi spieghiamo perché a fine anno il caffè andrà a 1,50 euro»
PADOVA. Rispetto al periodo pre Covid, in base ad un calcolo meticoloso effettuato, nelle ultime settimane dall’Appe (associazione a cui sono iscritti 1.500 locali pubblici di Padova e provincia), in media le entrate dei bar cittadini sono diminuite del 20-25%. Una batosta pesantissima che colpisce sia i titolari che i lavoratori dipendenti.
«Specialmente nella fase acuta della pandemia, quando si usciva molto meno da casa rispetto ad oggi, i clienti che vanno a bere il caffè al bar oppure a mangiare al ristorante sono calati drasticamente – spiega il direttore generale Filippo Segato – Ormai è cresciuto, a ritmo esponenziale, il numero delle persone abituate a prendere il caffè o il cappuccino dai distributori automatici, in ufficio o in fabbrica».
«Ma vede: è anche diminuita drasticamente la buona abitudine delle famiglie di andare in pizzeria al sabato sera e quella di andare in pasticceria alla domenica. Il mondo della ristorazione è cambiato totalmente perché è cresciuto a dismisura il costo dell’energia, il personale costa di più e gli affitti sono diventati anche più alti. L’obbligo del Pos poi ha causato ulteriormente l’aumento dei costi generali».
«Negli ultimi tre anni ha chiuso i battenti circa il 30% dei locali. Noi dell’Appe prevediamo che ne chiuderanno ancora – prosegue Segato – In centro, ma anche nei quartieri, in particolare nella zona della Stanga-Padova Uno, dove ci sono molti uffici, anche a causa del diffondersi dello smart working. Sarà sempre più difficile per un ristoratore non essere in perdita se si resta aperti solo alla mattina per la colazione e per i pasti veloci a mezzogiorno».
Il rischio vero, a fronte dei rincari energetici degli ultimi mesi, è che a fine anno possano scattare ulteriori aumenti, soprattutto al bancone del bar: «Non è escluso che la tazzina di caffè al banco possa essere portata a 1,50 euro, tutelando la qualità e la professionalità che devono essere garantite da chi è dietro al banco. Continuare a farlo pagare solo 1,20 è un rischio reale di lavorare in perdita anche perché negli ultimi mesi il prezzo del caffè all’ingrosso è cresciuto del 20%».
L’alternativa è ottenere maggiore libertà commerciale: «Sarebbe doveroso effettuare una vera e propria rivoluzione organizzativa nel concept del bar tradizionale all’italiana – ragiona Segato – Se i gestori di questo segmento di mercato vogliono continuare a sopravvivere, in un bar il cliente non deve trovare solo il caffè, il cappuccino, le bibite, la birra, il grappino ed i pasti veloci. È arrivata l’ora di potere vendere anche prodotti alimentari non deperibili, giornali, libri e, perché no, anche sigarette in numero limitato riservate ai clienti. D’altronde basta andare in giro per gli Stati Uniti, ed anche in Europa, per constatare che l’organizzazione del bar è stata modificata radicalmente rispetto al passato».
O si cambia o si muore: «È cambiato il mondo e quindi è cambiato anche il variegato pianeta della ristorazione. A settembre, sia a livello nazionale che a livello territoriale, cercheremo di prendere i primi contatti con le istituzioni competenti per portare a termine la rivoluzione organizzativa che è appena cominciata. Anche perché ci sarà un nuovo nemico da combattere, naturalmente con le armi adeguate. Ossia l’inflazione, che già oggi galoppa con un ritmo incalzante dell’8%». —
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