Serbia-Kosovo: blocchi, spari e valichi chiusi. Si infiammano i confini
BELGRADO. L’ora X è scattata nella notte, da questa mattina si vedrà in concreto cosa porterà il nuovo giorno. Ma già la vigilia, ieri, è stata tesissima, con allarmi sempre più forti che prefigurano che l’estate potrebbe essere esplosiva. E le prime barricate che si sono viste alle frontiere.
Gli allarmi riguardano la nuova crisi che sta prendendo corpo sull’asse tra Serbia e Kosovo. A provocarla, gli annunci e le decisioni del governo kosovaro, nella cornice di misure di reciprocità contro Belgrado. Pristina ha anticipato che da oggi «ogni persona che si presenterà» al confine tra Serbia e Kosovo «con documenti emessi dalle autorità serbe riceverà una dichiarazione che temporaneamente rimpiazza queste certificazioni», secondo il provvedimento approvato a fine giugno. Provvedimento che si affianca a un altro, ancora più dirompente per la vita di decine di migliaia di serbi che ancora oggi vivono nel Kosovo indipendente: è quello che impone a chi viaggia su auto con targhe automobilistiche immatricolate in Serbia tra il 1999 e il 2022, ma con la sigla delle vecchie province oggi in Kosovo – Pristina, Prizren, Pec, Djakovica e così via – di registrarle con le targhe ufficiali kosovare, con la sigla Rks.
Pristina aveva difeso le sue mosse ricordando che Belgrado da anni fa lo stesso, sia con i documenti dei kosovari sia non riconoscendo le targhe automobilistiche di Pristina, giustificandosi col fatto che si tratta solo di misure di giusta reciprocità, per di più contemplata da accordi presi a Bruxelles tra le due capitali. Immediata la replica della Serbia, che aveva evocato la possibilità di una nuova «Operazione Tempesta» attraverso le targhe, pianificata da Pristina per cacciare i serbi dal Kosovo.
La Serbia – come le alleate Russia e Cina – non riconosce l’indipendenza del Kosovo, né, quindi, il suo diritto di imporre regole. Ieri, nel Nord del Paese, hanno suonato a lungo le sirene e testimoni riferiscono di lunghe colonne di mezzi di emergenza. Il premier Albin Kurti ha detto che «i serbi hanno iniziato a bloccare strade e sparare».
Ad aprire le danze della nuova escalation il presidente serbo Aleksandar Vučić, che in un intervento pubblico ha sostenuto che Pristina si prepara da oggi a imporre una «condizione molto complicata» per i serbi, fermando alle frontiere chi prova a entrare in Kosovo con carte d’identità rilasciate da Belgrado e targhe fuorilegge. Anzi, «non siamo mai stati in una situazione più complessa di quella di oggi», ha rincarato Vučić, accusando neppur troppo velatamente il premier kosovaro Albin Kurti di volersi presentare come un «piccolo Zelensky» che si batte contro «un piccolo Putin». Così Pristina vorrebbe dipingere il presidente serbo. Ieri sera, il politico serbo Vladimir Đukanović ha scritto su Twitter che «mi sembra che la Serbia sarà costretta a iniziare la denazificazione dei Balcani». Giova ricordare che la Russia aveva affermato di voler «denazificare» l’Ucraina poco prima invaderla.
Secondo quanto rivelato da Vučić, il Kosovo avrebbe già spedito alle sue frontiere nel Nord del Kosovo, abitato in maggioranza da serbi, unità di polizia pronte a mettere in pratica le misure prese a giugno. «La parte albanese in Kosovo e Metohija prepara letteralmente l’inferno per i prossimi giorni», le parole del ministro degli Esteri serbo, Nikola Selaković.
Nel frattempo, in un sondaggio del portale Kossev, il 65% dei serbi del Kosovo ha anticipato di non volere cambiare le targhe. Di tenore opposto le parole di Kurti. «Applichiamo solo la Costituzione», ha affermato ieri, accusando poi Belgrado di soffiare sul fuoco della tensione parlando di nuove «barricate e blocchi sulle strade». E puntualmente le barricate sono comparse in serata, mentre risuonavano le sirene d’allarme a Mitrovica Nord, la parte serba della «Berlino» del Kosovo divisa in due dal fiume Ibar. A essere bloccati dai serbi la strada principale che da Mitrovica conduce verso la Serbia, e poi i posti di frontiera di Jarinje e Brnjak, chiusi dalla polizia kosovara. Una situazione tutt’altro che tranquillizzante.
A soffiare sul fuoco e rendere ancora più chiaro il messaggio è arrivata anche la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova che ha detto il piano del Kosovo di richiedere documenti temporanei per i serbi «è un passo verso la loro espulsione», aggiungendo che «La Russia chiede a Pristina, agli Stati Uniti e all’Ue dietro il Kosovo di fermare le provocazioni e di rispettare i diritti dei serbi». In caso diverso, i «leader dei kosovari sanno che i serbi non rimarranno indifferenti quando si tratta di un attacco diretto alle loro libertà, e si prepareranno a uno scenario militare»