Rsa a corto di personale. Tremila anziani veneti respinti dalle strutture
VENEZIA. In Veneto, ci sono oltre 3 mila anziani che, pur avendo diritto a entrare in casa di riposo, come indicano i certificati medici che tengono in tasca, vengono respinti dalle strutture regionali. E il motivo non è l’esaurimento dei posti letto delle residenze sanitarie assistenziali, che ormai viaggiano a tassi di riempimento ben al di sotto del limite, ma la mancanza di personale delle stesse.
«Accettare tutti gli ospiti, senza avere un numero di operatori tale da garantire tutti i servizi, sarebbe irrispettoso e scorretto» ammette Roberto Volpe, presidente veneto di Uripa, l’Unione regionale istituti per anziani del Veneto.
IL CASO
Alcuni giorni fa, i vertici dell’Usl 3 Serenissima hanno incontrato i sindacati, fornendo uno spaccato puntuale del territorio veneziano su questa criticità del sistema sanitario: 387 le impegnative inevase. «A nome di persone che avrebbero diritto di accedere alle case di riposo, ma che non vengono accettate perché nelle strutture mancano medici, infermieri e operatori socio-sanitari» denuncia Dario De Rossi, di Cisl Venezia.
I NUMERI
Si stima che dalle case di riposo venete manchino 2 mila infermieri e 4 mila operatori socio sanitari (Oss). E la situazione è destinata a peggiorare, considerando che è appena stata pubblicata la graduatoria dell’ultimo concorso regionale per operatori socio-sanitari: 253 i candidati risultati idonei. Potrebbero esserne assunti persino il doppio, considerando l’elevatissimo numero di pensionamenti intervenuti, dal momento dell’indizione del concorso alla stesura della graduatoria.
L’APPELLO
«Abbiamo chiesto alle Usl che non assumano gli Oss, attingendo dalle case di riposo, prima della fine dell’estate. Altrimenti implodiamo» l’appello di Volpe. Ma non mancano solo operatori socio-sanitari e infermieri, ma anche tanti dottori. «Anche perché ormai nessun giovane medico decide di specializzarsi in Geriatria» prosegue il presidente di Uripa.
L’IMPATTO
Scelte che hanno conseguenze dirette sulle possibilità delle famiglie e degli anziani, che quindi vengono respinti dalle strutture. «Nell’Usl 3 è stata sottoscritta una convenzione, tra la stessa azienda sanitaria e la Rsa Don Vittorio Allegri di Salzano, per riconoscere la semi-residenzialità alla struttura. Credo sia un buon esperimento, che sarebbe opportuno ripetere su larga scala, approfittando delle risorse che non vengono spese per inserire nelle Rsa gli anziani che ne avrebbero diritto. In un centro diurno, sicuramente è sufficiente un numero inferiore di operatori, rispetto a quello necessario nelle case di riposo» dice De Rossi.
Un anziano che entra in una casa di riposo con l’impegnativa, infatti, ha diritto alla cura sanitaria e deve pagare la sola quota alberghiera, che ha un costo che normalmente oscilla tra i 1.600 e i 2.200 euro. La quota sanitaria, invece, non è a carico dell’ospite: si parla di 49 euro al giorno per l’assistenza residenziale di primo livello, 56 euro per quella di secondo e 92 euro per l'assistenza nei nuclei Alzheimer. Denaro che verrebbe risparmiato e potrebbe essere speso per l’inserimento degli anziani all’interno dei centri diurni.
IL FUTURO
Intanto, il mondo delle Rsa prova ad alzare la voce. «La situazione è drammatica. Ai corsi per Oss non si presenta più nessuno, perché servono a formare professionalità non più appetibili. In più, paghiamo le conseguenze dell’addio all’indirizzo sociosanitario per i licei. Speriamo che venga prorogata oltre il 13 dicembre 2023 la possibilità di assumere infermieri da Paesi stranieri. Ma servono interventi strutturali in un Paese che sarà sempre più vecchio» la sentenza finale di Volpe.