Chi vince tra Cremlino e Occidente? Per Yale: “Le sanzioni stanno paralizzando in modo catastrofico l’economia russa”
Chi vince nella guerra economica? Occidente o Russia? La strategia di Putin è piegare l’Ucraina con le armi in un lungo scontro d’attrito. L’altra leva è soprattutto quella del gas: la Russia chiudendo i rubinetti fa aumentare il costo del sostegno all’Ucraina, sperando che le opinioni pubbliche degli alleati prima o poi cedano alla prepotenza dell’aggressore. Il pericolo effettivamente è serio: un taglio completo delle forniture spedirebbe diversi paesi dell'Unione Europea in recessione (per noi -2% del Pil nel 2023, secondo una stima di Banca d’Italia). E nel frattempo, fanno notare molti analisti, le entrate del Cremlino restano di tutto rispetto per via dei prezzi alti di gas e petrolio. In effetti uno schianto immediato dell’economia è stato evitato. Tanto che un giornale come l’Economist ha scritto: la recessione russa potrebbe essere “sorprendentemente lieve”.
Ma in realtà è opinione abbastanza condivisa che la Russia stia soffrendo - e anche molto - a causa delle sanzioni. La sua industria ha bisogno di input che arrivano dall’estero, senza i quali c’è un indebolimento strutturale della capacità produttiva, anche militare. Poi è vero che Cina e India sono alternative importanti al mercato europeo, però comprano a prezzi scontati sfruttando l’isolamento russo. Quindi cosa sta realmente accadendo? L’Università di Yale prova a fare il punto della situazione. Ha appena pubblicato un documento di 118 pagine definendolo «una delle prime analisi complete che valuta l'attuale attività economica russa e le sue prospettive future a cinque mesi dall’inizio dell’invasione».
Gli autori dicono di aver usato «fonti private in lingua russa e dati non convenzionali - inclusi dati ad alta frequenza sui consumatori, dati complessi sulle spedizioni e informazioni da partner commerciali internazionali della Russia». Alla luce di tutto ciò, continuano gli autori, si può affermare che le sanzioni e la fuga di multinazionali e società estere «stanno paralizzando in modo catastrofico l’economia russa». Con l’isolamento dal business straniero, secondo i ricercatori di Yale, «la Russia ha perso società che rappresentano circa il 40% del suo Pil, cosa che ha stravolto tre decenni di investimenti esteri e rafforzato una fuga simultanea e senza precedenti di popolazione e capitali, in un esodo di massa della base economica». Per far fronte a questa crisi, Putin ricorre a misure fiscali e monetarie “palesemente insostenibili” che avrebbero «già mandato in deficit il bilancio dello Stato per la prima volta da anni e prosciugato le riserve estere nonostante i prezzi alti delle materie prime». Secondo il documento, «le finanze del Cremlino sono in condizioni molto, molto più gravi di quanto si pensi convenzionalmente».
Poi Yale fa anche un bilancio sulla svolta asiatica delle esportazioni di energia. Come è stato detto più volte la Russia ha aumentato le vendite in Russia e Cina per compensare la perdita progressiva del mercato occidentale, in particolare europeo. Ma tutto ciò, afferma Yale, avviene in una posizione negoziale di svantaggio - perché la Russia, isolata, è costretta pur di vendere ad accettare forti sconti. E così, prosegue il report, «il posizionamento strategico della Russia come esportatore di materie prime è irrevocabilmente deteriorato. Russia e Cina sono acquirenti notoriamente attenti ai prezzi che mantengono stretti legami con altri importanti esportatori di materie prime».
Per la Russia, in sostanza, «non c’è via d’uscita all’oblio economico». A patto però che i paesi alleati «rimangano uniti nel mantenere e aumentare la pressione delle sanzioni». Ed è proprio qui che Putin incrocia le dita: il suo popolo è molto più avvezzo a soprusi e privazioni delle ricche democrazie occidentali.