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Август
2022

Grazie Direttore

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TRIESTE Omar, ma che hai fatto? Da quando abbiamo saputo che te ne sei andato di notte, per sempre, siamo travolti. Dall’affetto. Dalle lacrime. Dal dolore.

Chissà se te l’aspettavi, quest’ondata montante. Noi, i tuoi redattori, i tuoi collaboratori dapprima increduli, poi sgomenti, poi affranti. E gli altri, la nostra comunità, gli amici e i “nemici”, le istituzioni, i lettori, i frequentatori dei social che intasano i nostri smartphone, le nostre mail, i nostri whatsapp, i nostri social.

Chiamano gli interlocutori più vicini e quelli più lontani. Chiamano quelli che non ti saresti mai aspettato. C’era chi ci voleva bene, e chi no: «Siamo qui, a disposizione, se possiamo essere d’aiuto», ci dicono in tanti. «Sono in vacanza ma penso di tornare, voglio venire a salutare il Direttore» ci telefona, in lacrime, un tuo giornalista. E poi un altro. Un altro ancora.

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Chissà che diresti. Chissà come fronteggeresti quest’ondata - quante agenzie - tutta per te. Ci scherzeresti su, forse, con una battuta un po’ cinica e un po’ tagliente, perché è la nostra armatura. Ma poi, senza mostrarlo, ne saresti contento.

Vogliamo ricordarti nel migliore dei modi. Ma le parole non vengono. Sono il nostro lavoro, benedette parole, ma quanto sono maledette oggi.

«Io mi diverto ancora a fare questo mestiere» ci dicevi sempre. Avevi iniziato quand’eri ancora uno studente come corrispondente del Gazzettino dai paesi della Valbelluna. Il Gazzettino di Giorgio Lago e del mitico Nordest, da un lato. La montagna. La tua amata montagna, dall’altro: solo pochi giorni fa, mentre il Carso e la Val Resia bruciavano, ci raccontavi il tuo dolore per quei boschi in fiamme. «Ci soffro davvero».

Nel 1990, a 26 anni, la sostituzione e poi l’assunzione come praticante alla neonata Gazzetta delle Dolomiti: seguivi la nera e la giudiziaria. E quell’attenzione al dettaglio, quasi maniacale, che la nera e la giudiziaria ti insegnano - se sei un bravo cronista - ti accompagnava come una cara amica. Quante volte ti abbiamo visto intervenire, spietato, per un pezzo scritto male, per una virgola di troppo, per un passaggio pericoloso o inopportuno: «Ma cosa fate? Ma siamo impazziti?».

A 28 anni, se riavvolgiamo il film, arrivi alla Cronaca di Verona. Una nuova sfida e tu la raccogli perché tu non sai resistere alle sfide. E forse - ci piace pensarlo - perché Verona è anche l’Arena, è la lirica, quella lirica che amavi tanto.

A soli trent’anni ti trasferisci a Bolzano e diventi caporedattore del Mattino dell’Alto Adige. Da Bolzano a Trento il passo è breve. Ed è a Trento che conosci Fabio Barbieri, l’allora direttore, il giornalista che – ci confessavi – è stato forse il più importante della tua carriera.

Il curriculum è lungo, quanto lungo, Omar. Ti sentiamo che ci dici: «Dai, su, tagliamo corto». Ti sposi con Sara, avete quattro figli, la tua amatissima famiglia, ma continui a spostarti, a salire di grado, vai a Padova, giri l’intero Nordest. Diventi prima vicedirettore, poi condirettore, e dal 2005 direttore.

Da noi, in Friuli Venezia Giulia, arrivi nel 2012 alla guida del Messaggero Veneto di Udine e Pordenone. È un primo assaggio perché nel 2014 ti chiamano a dirigere Il Tirreno di Livorno. Ma il tuo destino è legato a noi, a questo estremo Nordest d’Italia, con i suoi pregi e i suoi difetti che tu hai velocemente imparato a conoscere: a Udine ci ritorni dopo solo due anni “toscani”. Ritrovi il “tuo” Messaggero e spingi come sai fare tu. Sugli eventi. Sul digitale. Sul territorio. Spingi soprattutto sul valore dell’informazione locale che difendi con le unghie e con i denti. Contro chiunque lo metta in discussione. Perché ci credi. Perché non è solo il tuo mestiere, ma la tua vita.

Nel 2021 ti arriva l’ennesima sfida. Forse la più tosta: la direzione unica del Messaggero e del Piccolo. Udine insieme a Trieste. E, non bastassero le due “capitali” di una regione un tempo tenuta insieme da un trattino, Gorizia, Monfalcone, Pordenone. L’intero Friuli Venezia Giulia. Piccolo, sì, rispetto al resto del mondo. Ma così diverso, così variegato, così complesso. Una sfida dentro la quale hai portato i tuoi giornalisti e i nuovi traguardi della tecnologia e dell’online.

Ti butti. Non hai paura. A volte ci sembri persino un po’ incosciente: la curiosità è il tuo motore. La passione è la tua forza. Entri come un panzer in redazione. Primi messaggini su whatsapp alle 6 del mattino. Un incubo dolce. E poi, nel corso della giornata, spari una raffica dopo l’altra. Quasi insostenibile. Messaggini a noi, giornalisti, collaboratori, fotografi... Messaggini al “resto del mondo”: quello là fuori che ci spronavi a frequentare, conoscere, ascoltare.

Qualche volta ti prendevamo affettuosamente in giro, dicevamo che l’ubiquità non ti apparteneva ancora, eppure riuscivi a essere in redazione e fuori contemporaneamente. Se non c’eri, telefonavi, whatsappavi, chiamavi su Teams, giravi mail... Ma, in realtà, c’eri sempre.

Eri qui anche domenica, e non è certo una notizia, perché non saltavi mai le domeniche. Abbiamo fatto il giornale. Abbiamo scherzato. Abbiamo guardato il calendario. Abbiamo condiviso, ancora una volta, il tuo rovello e la tua ossessione, che sono quelli dei giornalisti che hanno passione e credono in ciò che fanno, anche in questi tempi così difficili: lavorare al futuro dei nostri giornali.

Oddio, Omar, che hai fatto? Ci sei entrato dentro, con la tua forza, la tua determinazione, i tuoi difetti. Siamo choccati e sommersi dai ricordi. Non riusciamo a setacciarli, non oggi. Per ora ci aggrappiamo a quello che ci dicevi sempre: «Andate avanti».

Ah, un’ultima cosa. Ti abbiamo ricordato insieme perché il tuo ritornello quotidiano era: «Roberta e Paolo sentitevi e poi vediamo cosa fare».

RIPRODUZIONE RISERVATA




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