Estate 1922, fallisce lo “sciopero legalitario” l’ultimo tentativo di fermare il fascismo
Cominciava il 31 luglio 1922 lo sciopero generale indetto dall’Alleanza del lavoro, poi chiamato “legalitario” per il suo contenuto di protesta nei confronti delle violenze squadristiche, che rappresentò l’ultimo, disperato tentativo di fermare l’avanzata inesorabile del fascismo verso la conquista del potere. I sindacati (la Cgdl socialcomunista, le federazioni autonome dei lavoratori e dei portuali, la Uil formata da repubblicani ed ex interventisti, l’Usi anarchica) puntavano ad una mobilitazione dal basso che facesse argine alla marea nera, ma lo sciopero finì con l’offrire al fascismo quella prova di forza attesa per assestare la spallata finale agli avversari e spazzare via gli ostacoli residui. L’assalto a Palazzo Marino a Milano del ras lomellino Cesare Forni e dei suoi picchiatori, che si erano “fatti le ossa” negli scontri e nei raid punitivi tra le campagne pavesi e il vicino Novarese, fu una sorta di prova generale della Marcia su Roma, dimostrando plasticamente l’impotenza degli avversari di classe e la connivenza delle autorità.
In provincia di Pavia, l’epicentro dello sciopero legalitario fu Voghera, grazie alla mobilitazione dei ferrovieri, particolarmente forti in città, ma costretti a mettersi presto sulla difensiva, mentre nel resto del Paese si scatenava l’attacco dello squadrismo. Già il 2 agosto, viene devastato il circolo ferrovieri e la stazione, roccaforte della protesta, è presa d’assedio. In campo entra anche il sottoprefetto (in pratica il massimo rappresentante dell’autorità statale a Voghera), il quale precetta i lavoranti panettieri, mentre volontari in camicia nera assicurano il regolare funzionamento dei servizi di trasporto pubblico, mettendosi essi stessi al comando dei mezzi, e rimettono in funzione i forni. I ferrovieri resistono fino al 4 agosto, quando lo sciopero si è già concluso in tutta la provincia e su scala nazionale.
Eccitati dalla vittoria e dalla notizia del riuscito blitz a Palazzo Marino, gli squadristi vogheresi guidati da Mario Varni si dirigono verso il municipio, decisi a sloggiare con la forza l’amministrazione socialista. Una delegazione si fa ricevere dal sindaco Luigi Ghezzi e gli intima di andarsene: le dimissioni e la nomina di un commissario a Palazzo Gounela sono la logica conseguenza. In città si crea un clima pesantissimo per i maggiori esponenti socialisti e comunisti. La sera di ferragosto, è bastonato Italo Gè, ferroviere, tra i principali organizzatori dello sciopero, mentre un’ondata di licenziamenti colpisce i lavoratori che più si erano esposti. Lo stesso Gè e l’avvocato Ottaggi, socialista, saranno messi al bando; Emilio Morini, privato del seggio di deputato ed escluso dall’insegnamento, verrà condannato al confino a Pantelleria, da cui lo salveranno solo le precarie condizioni di salute.—