Quindici anni fa il delitto di Garlasco e Stasi torna in Tv. L’ira della famiglia Poggi: non è una vittima
L’avvocato: «Basta mistificazioni, l’unica cosa non approfondita sono gli errori che hanno avvantaggiato l’imputato»
GARLASCO. «Basta mistificare la realtà storica e processuale, Stasi è stato condannato in via definitiva. Non si parla invece dei vantaggi che ha avuto Stasi nelle prime fasi d’indagine e processuali». Parole amareggiate che arrivano dalla famiglia Poggi e dal loro legale. Sabato infatti ricorre il 15esimo anniversario dell’uccisione di Chiara Poggi e domenica torna in onda, in prima serata su Italia 1, nella trasmissione “Le Iene” l’intervista in cui Alberto Stasi dal carcere si proclama innocente nonostante sia stato condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio della fidanzata 26enne. Una coincidenza che amareggia la famiglia Poggi e il loro avvocato Gianluigi Tizzoni.
L’amarezza dei Poggi
L’intervista a Stasi era già stata mandata in onda a fine maggio e sarà riproposta sempre nell’ambito di uno speciale della trasmissione “Le Iene” «Si continua a mistificare la realtà senza contraddittorio - aggiunge l’avvocato Tizzoni -. Ed il contraddittorio, ci terrei a sottolineare, non è la famiglia Poggi, ma è lo Stato italiano che con sentenze di Cassazione e delle Corti di appello ha accertato al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità di Stasi per l’uccisione di Chiara Poggi. L’unica cosa che non è stata approfondita della vicenda sono le circostanze di cui si è avvantaggiato Stasi per essere assolto finché la Cassazione nel 2013 ha finalmente disposto che venisse svolto un processo rispettando le regole del codice di procedura penale». Tizzoni spiega quali circostanze avrebbero avvantaggiato Stasi. «Nei processi è stata accertata una falsa testimonianza dell’allora comandante dei carabinieri di Garlasco Francesco Marchetto - risponde l’avvocato -. E inoltre nella sentenza d’appello bis i giudici scrivono testualmente delle molte criticità di alcuni degli accertamenti svolti, riconducibili a errori e negligenze anche gravi, e non solo all'inesperienza, degli inquirenti. Non si può negare che in molte occasioni sia stato proprio Stasi, personalmente e non solo, a indirizzare e ritardare le indagini in modo determinante e a sè favorevole».
La vicenda
Il delitto era stato commesso la mattina del 13 agosto 2007, la 26enne era in casa da sola mentre i genitori e il fratello si trovavano in vacanza in Trentino. Secondo le ricostruzioni, conosceva chi era entrato in casa dato che aveva tolto l’allarme e si era presentata in pigiama. Era stata colpita con un corpo contundente, mai ritrovato, e trovata poi morta sulle scale che portavano alla cantina. A dare l’allarme ai soccorsi, nel primo pomeriggio, era stato proprio Alberto Stasi. Da quel momento iniziarono anni di indagini e processi, con alcuni elementi dell’inchiesta finiti al centro di polemiche e discussioni. Come la ormai celebre presunta bicicletta da donna nera vista dalla vicina di casa Franca Bermani sul muretto di casa Poggi e analizzata solo dopo anni. Il 24 settembre 2007 la procura di Vigevano ordinò il fermo di Stasi, ma il 28 settembre, fu disposta la scarcerazione. Al processo di primo grado, al tribunale di Vigevano, l'accusa chiese 30 anni, ma Stasi fu assolto. Stesso esito nel processo d’appello a Milano. Il 18 aprile 2013 però la Cassazione annullò l'assoluzione e dispose il processo d'appello bis, chiuso con la condanna di Stasi a 16 anni, confermata due anni dopo. Stasi sta scontando la pena nel carcere di Bollate. Da allora sono state presentate e respinte due richieste di revisione del processo.