Caso criptovalute, la beffa per gli investitori: controlli della Finanza su chi ha perso i risparmi

Tre concetti molto chiari, che probabilmente a chi ha investito migliaia di euro con la New Financial Technology non faranno piacere. Il primo: l’aver investito in criptovalute, dallo scorso novembre, va indicato nella dichiarazione dei redditi, e chi non l’ha fatto rischia una sanzione che va dal tre al trenta per cento del “wallet” digitale non dichiarato.

Secondo: sul capital gain bisogna pagare le tasse, quindi chi ha intascato per mesi o anni i “dividendi” del – presunto – sistema di arbitraggio gestito dalla Nft avrebbe dovuto scriverlo sempre in sede di dichiarazione dei redditi e pagare il 26 per cento se il guadagno supera una soglia di poco maggiore ai 51 mila euro.

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Terzo, infine, ed è il punto che potrebbe spaventare maggiormente chi per caso avesse investito somme di provenienza non del tutto regolare (frutto di evasione, per esempio): l’amministrazione fiscale, ovvero Agenzia delle entrate e guardia di finanza, può venire da voi per verificare se la somma investita nello “schema Visentin” fosse composta da denari lecitamente guadagnati, frutto del proprio lavoro o di eredità, per esempio, o se piuttosto fosse frutto di attività non dichiarate. Nero, insomma.

L’esperto in diritto tributario

A spiegarci chiaramente la situazione è Andrea Codemo, avvocato, esperto in diritto tributario, partner dello studio legale e tributario Mda, sede a Treviso, al quale abbiamo rivolto una domanda molto diretta: ora chi ha investito con la New Financial Technology (e magari rischia di perdere tutto) oltre al danno potrebbe avere la beffa dei controlli del Fisco?

«Sì, perché l’amministrazione finanziaria, nella fattispecie Agenzia delle entrate e guardia di finanza, ha la facoltà di andare a verificare», spiega Codemo, «e rientra nelle sue competenze anche verificare se sono stati investiti denari guadagnati lecitamente oppure no. Se guadagno 1.200 euro al mese e ne ho investiti trentamila, la guardia di finanza me ne può chiedere conto».

Il fatto che la cornice sia quella di una potenziale truffa basata sul classico schema Ponzi, e che quindi il meccanismo di arbitraggio alla base del presunto guadagno fosse fittizio, «non attenua il rischio – spiega ancora il legale – perché per l’amministrazione finanziaria non è rilevante l’eventuale fatto che gli investitori siano stati civilmente danneggiati e perdano il loro capitale».

La legge si adegua

«Il mondo delle criptovalute – spiega ancora l’avvocato Codemo – per l’amministrazione finanziaria è ancora relativamente recente, abbiamo da poco le prime verifiche e risposte a livello di prassi da tenere. C’è la risposta a un interpello da parte dell’Agenzia delle entrate dello scorso novembre che stabilisce che rendimenti e operazioni finanziarie fatti all’estero vanno rendicontati nel quadro “RW” della dichiarazione dei redditi. Fino a novembre c’era molta incertezza, ora l’amministrazione sta affinando i criteri di gestione e di monitoraggio».

Le sanzioni

Chi, nel caso Nft, non ha messo in dichiarazione dei redditi il proprio investimento, «rischia una sanzione dal 3 al 15% della somma investita se questa è andata nei paesi cosiddetti ordinari, e dal 6 al 30% se si tratti di paesi una volta definiti in “black list”, oggi a fiscalità privilegiata». E in questo caso, che la società ha sede a Londra, un trust a Stoccolma, conti nei paesi baltici e operatività a Dubai? «Nel dubbio, l’amministrazione fiscale applica la sanzione minore». Prima e unica buona notizia.