La vendetta di Putin: missili su Mykolaiv e Odessa
Mosca colpisce università e case dopo gli attacchi ucraini sulla Crimea. Allarme acqua sul fronte Sud, si fa la fila alle cisterne sotto le bombe
MYKOLAIV. Il suono di una sirena, fortissimo, rimbomba nelle strade, assomiglia a quello degli allarmi antiaereo a cui gli ucraini sono ormai abituati. Ma non lo è. D’improvviso un brulicare di persone, invisibili fino a quel momento, si riversa in strada sotto il sole caldo del mattino, alcuni con delle taniche, altri con bottiglie di plastica da riempire. Il suono proviene da una macchina che rimorchia una cisterna, il richiamo per gli abitanti di Mykolaiv per la distribuzione di acqua decontaminata e potabile. Anche ieri mattina, nonostante la notte violata dai missili russi che hanno colpito l’Università Nazionale del Mar Nero intitolata a Peter Mohyla, il rito si è ripetuto. D’altronde non c’è altra scelta. A Mykolaiv, come altrove, la vita deve in qualche modo andare avanti, anche se la vendetta di Putin dopo gli attacchi ucraini in Crimea è arrivata puntuale. Oltre all’università, nella notte sono state colpite alcune aree residenziali di Odessa, Donestk e Kharkiv. Case, centri ricreativi, infrastrutture civili.
A Mykolaiv la mancanza d’acqua è uno dei problemi principali per i circa duecentomila abitanti rimasti - più della metà della popolazione ha abbandonato le proprie case per andare in luoghi più sicuri -, ci sono dei distributori per strada dove la gente va a rifornirsi. L’acqua che esce dai rubinetti delle case è gialla, verde, puzzolente e salata - dicono gli abitanti -, l’acquedotto della città è stato distrutto, nelle condotte viene pompata l’acqua salmastra del fiume Bug, si scavano pozzi, mancano dissalatori per desalinizzare e depurare l’acqua. Il portavoce militare di Mykolaiv, Dmytro Pletenchuk, racconta che la città viene bombardata pesantemente ogni notte, la strategia, secondo lui, è quella di intimidire la popolazione e forzarla ad arrendersi.
Dall’inizio della guerra nella regione di Mykolaiv ci sono stati 1.050 civili feriti e 403 morti di cui circa 130 nella città. Con un tono gentile e un fare affabile, ligio alle regole auree della propaganda di guerra di ogni tempo e latitudine, dice che la situazione è sotto controllo, le persone lavorano, le farmacie hanno ancora medicine, i supermercati sono aperti. I militari continuano a presidiare il territorio e a prepararsi per difendere la città. Racconta dell’ostinazione della popolazione che non sempre va negli scantinati bui e freddi a ripararsi ma preferisce nascondersi dietro le pareti di casa più spesse o nei bagni. Pochi, secondo lui, sono coloro che si rifugiano negli scantinati.
La sera Mykolaiv piomba nel buio, a differenza di Odessa, le luci di strade e case rimangono spente, non si vede assolutamente nulla, solo bagliori di telefonini in lontananza. Qualche giorno fa un altro attacco ha formato un cratere di fronte ad un edificio residenziale di dieci piani. Pochi minuti dopo lo scoppio siamo lì, tra il rumore dei vetri rotti che calpestiamo sul cemento e quello dei cristalli che vengono spazzati e ammucchiati dagli abitanti del palazzo. Incrociamo subito una signora con una fasciatura in testa, la maglia sporca, colpita dai frammenti della finestra andata in frantumi a causa dell’onda d’urto provocata dall’esplosione. Ha ancora segni di sangue secco sul viso, ci porta nello scantinato, in fondo, sedute su un letto, troviamo madre e figlia, sono sotto choc, la donna più giovane è incinta, abbraccia la madre che piange. Lei ci chiede di utilizzare un telefono per chiamare i propri cari.
Gli appartamenti sono tutti distrutti, i vigili del fuoco si aggirano con delle grosse torce tra i piani, cercano di aprire dall’esterno alcuni appartamenti con persone o animali bloccati all’interno. Una signora in vestaglia racconta di essere stata sbalzata dal suo letto fino all’ingresso di casa. Ci sono detriti per terra ovunque, finestre divelte, una donna ci ricorda che non ha suonato l’allarme antiaereo e si dispera, non sarebbe cambiato nulla. Comincia a piovere, decidiamo di andare via, nell’oscurità della rampa di scale incontriamo ombre che salgono e scendono, un’anziana chiede a che piano ci troviamo mentre risale verso il suo appartamento, un ragazzo, che è appena rientrato, racconta di essere rimasto bloccato fuori, la porta non si apre più. Si continua a spazzare, ma con meno affanno, il frastuono sembra addolcito dalla pioggia che cade copiosa, la strada si svuota di persone e macchine per riempirsi d’acqua e fango.