Liste Pd, solo scontenti: in Puglia esplode il caso donne, all’attacco capibastone e esclusi
Passata la buriana, al Nazareno sono tutti sul piede di guerra: territori, federazioni regionali. Ballano ancora i seggi per Ceccanti e il sottosegretario Amendola
Passata la buriana, votate le liste, nel Pd sono tutti scontenti: territori, federazioni regionali, capibastone e il corpaccione degli esclusi. In Puglia esplode un caso nazionale, per il fatto che vi siano solo capolista uomini, sollevato non solo dall’escluso Dario Stefàno, ma anche dalla sinistra dem che punta il dito contro Michele Emiliano. «Le liste del Pd Puglia non sono solo invotabili ma pure illegali», attacca il consigliere regionale del Pd Fabiano Amati. «Violano infatti una gran quantità di norme statutarie e in particolare quelle sulla parità di genere». Scoppia pure un caso tra Carlo Calenda ed Emma Bonino, con il leader di Azione che la aggredisce chiedendo se sia vero che si candidi con il Pd. «Una fake news», ribatte lei, «spiace che qualcuno dia credito a questa balla». Schermaglie, come quelle che andranno in scena da ottobre in Senato, visto che è lì che tutti vogliono candidarsi per assediare Salvini e Berlusconi: da Franceschini a Boccia, da Delrio a Borghi, tutti a Palazzo Madama.
In generale tutte le correnti hanno da ridire sulle liste, anche se in fondo, coi tempi che corrono per il taglio dei parlamentari, non sono uscite male dalla corrida delle candidature: ma i malumori si sprecano, al pari delle rinunce ritrattate per far posto a rilanci orgogliosi. Come quello di Alessia Morani, che dopo aver letto «la marea di messaggi» piovuti dai social dopo il suo annuncio di un passo indietro, si rimette in gioco, «non resto in panchina». Al pari di Carmelo Miceli, anche lui ex renziano di Base Riformista, record di preferenze alle comunali di Palermo, piazzato in un collegio perdente della Sicilia, ma voglioso di giocarsela fino in fondo: «Accetto una candidatura di servizio, non è tempo di Aventini». Ci sono poi le rinunce stop and go, come quella di Caterina Bini, area Franceschini, che fino all’altra sera negava di aver rifiutato di correre a Prato, per poi ripensarci ieri mattina, facendo il passo indietro forte di un’altra proposta arrivata da Letta, per far posto a un pezzo da novanta del pensiero economico del Pd come Tommaso Nannicini. Sempre ex renziano ma in sintonia con il leader e dunque tra quelli da recuperare. Innescando però una mezza rivolta del pd pratese, indignato per non avere un candidato espressione del territorio, «il 26 settembre ci dovranno delle spiegazioni», è il grido di battaglia.
Per Letta le grane non sono del tutto finite: sono da recuperare due esponenti tra i più stimati dell’universo dem, quali il costituzionalista Stefano Ceccanti e il sottosegretario di Draghi agli affari europei, Enzo Amendola. Con lui è in corso una sorta di braccio di ferro, visto che il posto numero tre del listino in Campania non uscirà vincente se Valeria Valente la numero due non sarà eletta in Puglia dove gode della seconda candidatura. Un’ipotesi poco sicura per usare un eufemismo che però al Nazareno considerano invece molto probabile provando a convincere Amendola ad accettarla. Anche se resta il rebus del perché il partito che punta sull’Europa piazzi il suo uomo forte a Bruxelles in un posto in bilico, rischiando di farlo cadere.
Diversa la sorte invece di Ceccanti, che non accettando una candidatura certamente perdente del quarto posto in Toscana, verrà ricollocato. A liste già vidimate dalla Direzione sì, perché la regola dice che non si può sostituire un candidato a meno che non rinunci il prescelto per quel posto.