Poca sicurezza sul lavoro e stipendi bassi: la fuga delle guardie mediche che rinunciano all’incarico

UDINE. Lavorano di sabato, domenica e di notte, con un senso di insicurezza crescente. Sono le guardie mediche, i dottori a cui ci si rivolge fuori dagli orari di ambulatorio del medico di famiglia. Dottori che si fanno fatica a trovare e che sempre più spesso rinunciano a lavorare in certe condizioni. Recentemente l’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale ha dovuto prendere atto di diverse rinunce agli incarichi di sostituzione di continuità assistenziale, così si chiamano le guardie mediche, manifestate da medici già supplenti di altri colleghi.

Una grave situazione di carenza di organico che la stessa Azienda riporta, affidando nuovi incarichi provvisori per turni saltuari, fintanto che non si troverà la disponibilità di nuovi medici. Un’impresa che sembra sempre più ardua. «Innanzitutto – spiega il segretario dello Snami, Stefano Vignando – questa carenza è dovuta a un motivo economico che diventa preponderante, soprattutto dopo questi ultimi due anni, in cui c’è tanta richiesta di medici e poca offerta, ma è un concetto che non si vuole comprendere. Per queste figure non ci sono soddisfazioni professionali e si ritarda anche la corresponsione del dovuto. Sono vessazioni a cui la politica e i direttori delle aziende sanitarie non pensano. È un lavoro disagiato – prosegue – e nessuno è più disposto a farlo di notte e nei giorni festivi. Poi – sottolinea – c’è il grosso problema della sicurezza, soprattutto perché questa professione ormai è fatta di donne».

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È recente il caso dell’aggressione a un medico di colore a Lignano, ma non è un caso isolato e questi episodi si verificano spesso, soprattutto di notte e negli ambulatori. «Le sedi dovrebbero essere aperte con più medici nello stesso turno – dice ancora Vignando –, ma non è così. Gli ambulatori dovrebbero essere chiusi all’utenza e servire solo per ricevere le telefonate, per poi recarsi al domicilio del pazienti».

Sul problema sicurezza, qualche anno fa era stata avviata la sperimentazione con l’ausilio degli alpini, «un esperimento – sostiene – concettualmente sbagliato, semplicemente perché le sedi non dovrebbero essere aperte. La continuità assistenziale, cioè la guardia medica, è territoriale e domiciliare, non ambulatoriale. In caso contrario, l’ambulatorio fa fatto in sicurezza e con incentivi, ma ritengo che dovrebbe essere anonimo, solo con un numero di telefono da chiamare, senza che i pazienti sappiano dov’è».

Una soluzione di difficile attuazione, considerando la vastità del territorio o di chi necessita solamente di una ricetta. Ma l’attuale situazione, purtroppo, grava ulteriormente sui pronto soccorso, spesso con accessi gestibili sul territorio.