Gianni Amelio è un habitué della Mostra del Cinema di Venezia. Dopo L’Osella nel 1994 con Lamerica, il Leone d’Oro del 1998 con Così ridevano e altre partecipazioni, il regista di Hammamet è tornato in concorso al Lido con Il signore delle formiche (dall'8 settembre al cinema). Doveva essere un documentario su Aldo Braibanti, il drammaturgo e poeta che negli anni ’60 fu accusato per aver plagiato, ovvero per aver sottomesso alla sua volontà in senso fisico e psicologico un allievo appena diciottenne. Amelio alza l’asticella e decide di farne un film con Luigi Lo Cascio perfetto nella parte.

Il caso fece scalpore e Braibanti fu condannato a nove anni di reclusione. Fu l’unico e il solo italiano che nella storia del nostro paese venne incarcerato per plagio: dopo il suo caso fu cancellato il reato. Il regista si è innamorato della figura di Aldo, per il suo coraggio e le sue fragilità, per non essersi scomposto di fronte al dramma che lo attraversava e per aver tenuto il punto fermo su un principio che nessuno può mettere in discussione: l’amore.

Non c’è stata alcuna molestia: Aldo ed Ettore (nel film Leonardo Maltese) semplicemente si amavano. È una colpa? All’epoca sì, purtroppo. Il ragazzo, allievo di Braibanti, fu sottoposto a elettroshock perché considerato malato.

Luigi Lo Cascio. (Foto di Claudio Iannone)
CLAUDIOIANNONE

Il signore delle formiche è apertamente un film sulla violenza e l’ottusità della discriminazione, sul conformismo e la malafede, sulla mentalità inetta della provincia italiana. Un affronto diretto e una condanna all’inciviltà che soffocava il nostro paese in quegli anni. Amelio si rifugia nel passato per interrogarsi sul presente. E non ha dubbi: «Anche oggi i diritti umani sono in pericolo».

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