Quando due amiche si mettono insieme e girano un film senza sceneggiatura, improvvisando come non ci fosse un domani, purtroppo si vede. È il caso di The eternal daughter di Joanna Hogg, in concorso alla 79ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, con protagonista Tilda Swinton nel duplice ruolo di figlia e di madre plurisettantenne (con tanto di parrucca bianca in stile compianta regina d'Inghilterra). 

La storia è piuttosto semplice: madre e figlia tornano nell’antica dimora di famiglia, trasformata in un hotel macabro infestato di fantasmi e dalla discutibile gestione, dove tra le chiacchiere emergono misteri e segreti del passato. Neanche a dirlo, il colpo di scena c'è, ed è assolutamente telefonato. L'espediente autobiografico e metacinematografico del "film nel film" (la protagonista è una regista che sta pensando di fare un film su sua madre) non aiuta. Così lo spiega Joanna Hogg: «La verità è che ho sempre desiderato realizzare un film sui fantasmi e sui misteri del passato, ma anche sul legame madre-figlia. Sono anni che ci lavoro, dal 2008 almeno.  Dopo essermi commossa leggendo un racconto di Kipling, ho pensato di realizzare una storia speciale tra madre e figlia, senza sapere che di lì a poco avrei perso mia madre durante il montaggio del film. Mia madre apparteneva a quella generazione di donne che teneva nascosti i sentimenti e viveva tra rimpianti nostalgici e sensi di colpa. In questo senso abbiamo sofferto di un forte gap generazionale. Due anni fa ho deciso di farne un film e ambientarlo in un hotel tetro e inquietante». Come mai? «Perché sono gli spettri gli unici che possono veramente intrecciarsi alle nostre emozioni più profonde».

Secondo Tilda Swinton per The eternal daughter è quasi riduttivo parlare di un'opera sul rapporto madre-figlia: «Joanna ha scelto una sola attrice per i due personaggi perché la madre e la figlia sono l’una lo specchio e la proiezione dell’altra, è un film che va oltre quella profonda connessione familiare».

Swinton sfoggia la solita bravura, ma il film scricchiola come le porte del suo albergo da restaurare. Sarebbe stato un corto interessante, ma come lungometraggio finisce per annoiare. Probabilmente anche perché non si regge su una solida struttura narrativa, per una scelta ben precisa: «Mi piace usare l'improvvisazione, non avevamo previsto un vero e proprio copione, mi sono fidata totalmente dell'istinto e del talento di Tilda. La conosco bene da troppi anni e questa nostra profonda amicizia ci ha consentite di entrare in profondità e creare una relazione speciale, magica, simbiotica». Conferma l'attrice, accanto a lei: «Abbiamo parlato a lungo delle nostre madri, prima e dopo le riprese. Le abbiamo perse entrambe. Rispetto al lavoro con Joanna, io preferisco lavorare con persone che mi sono care. Non da oggi, da sempre: con Jarmush, con Guadagnino e con lei».

Dal cinema alla realtà, vale la pena segnalare, infine, che  Tilda Swinton si è volutamente presentata in conferenza stampa con i colori della bandiera Ucraina in dichiarato segno di sostegno e solidarietà. 

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