Il veto di Wärtsilä a Trieste: «Dopo di noi a Bagnoli niente più motori»
TRIESTE Wärtsilä non venderà lo stabilimento di Trieste a un altro produttore di motori navali. Il veto è contenuto nel piano di mitigazione e pianta un paletto pesantissimo sulle prospettive di reindustrializzazione presentate lunedì dalla multinazionale finlandese, che «preferisce non destinare il sito a un concorrente che produca motori a 4 tempi di media velocità per il settore marino e/o delle centrali elettriche».
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I numeri
Il piano quantifica non più 451 licenziamenti ma 437, sulle 974 unità assunte. La differenza di 14 dipendenti non è data da una riduzione degli esuberi, ma dal fatto che l’azienda ha registrato nel frattempo alcune uscite volontarie. L’altra cifra chiave riguarda i lavoratori che saranno posti in cassa integrazione: 593. Molti più degli esuberi, per la decisione di mettere in Cigs i 372 dipendenti della produzione (operai, impiegati, tecnici, addetti al controllo qualità: tutti destinati al licenziamento) e, a rotazione, i 221 delle attività correlate (quasi tutti impiegati), di cui solo 65 saranno licenziati.
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L’advisor
I sindacati fanno sapere che il presidente di Wärtsilä Italia Andrea Bochicchio presenterà stamattina il piano ai lavoratori. Come anticipato al tavolo del Mise, Wärtsilä ha indicato una società di consulenza, che cercherà player interessati a rilevare il sito di Bagnoli. Il nome dell’advisor non è noto, ma il piano evidenzia che «entro la fine del 2022 sarà possibile avanzare le prime ipotesi in ordine a possibili alternative». I consulenti hanno cominciato a «sviluppare un progetto di reindustrializzazione» e batteranno il mercato alla ricerca di «uno o più operatori che possano concorrere alla conseguente salvaguardia dei livelli occupazionali», sempre ammesso che ce ne siano.
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Il futuro
Ai soggetti interessati saranno illustrate le caratteristiche del sito, gli impianti che potrebbero esservi lasciati, i costi del lavoro e tutti gli aspetti tecnici. Poi l’advisor condividerà con le istituzioni «un elenco ristretto di proposte», analizzando le tipologie di business, la valenza occupazionale, la solidità finanziaria dei soggetti alternativi. L’ultimo step è quello dei negoziati con la realtà prescelta, cui Wärtsilä chiederebbe in affitto una parte dello stabilimento per continuare le attività di ricerca & sviluppo, che rimarranno assieme a quelle di «vendita, project management, sourcing, assistenza e formazione al cliente».
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Il veto
Il piano evidenzia che il sito è adatto soprattutto ad «attività industriali metalmeccaniche pesanti incluse quelle ad alto contenuto tecnologico», ricordando che a Bagnoli «sono stati gestiti e prodotti apparati militari». Il testo illustra i possibili campi: prodotti complessi pesanti, oil & gas, componentistica per ponti, generatori, turbine a gas/vapore, turbine eoliche, attrezzature per acciaierie, cartiere e centrali nucleari. La motoristica navale è esclusa. Wärtsilä vuole mitigare con le sue regole e «preferisce non destinare il sito a un concorrente».
La cassa integrazione
Se si eccettua il ricorso all’advisor, Wärtsilä prende impegni pressoché interamente a carico dello Stato. È il caso dei 12 mesi di cassa integrazione previsti dalla procedura in caso di accordo sul piano, che non ci saranno in caso di mancata firma dei sindacati. Diversamente da quanto trapelato nei giorni scorsi, i mesi di cassa sarebbero 12 e non 24: decorerebbero dalla stipula dell’accordo (quindi fra 30 o 120 giorni, a seconda dell’approvazione dell’emendamento Orlando-Giorgetti), con la premessa che «l’attività produttiva può in certa misura proseguire fino alla fine dell’anno».
Tra le misure di mitigazione il piano contempla infine tutte le possibilità di formazione previste dall’ordinamento (pure queste a carico degli enti pubblici), forme di ricollocazione interne al gruppo Wärtsilä (con trasferimento all’estero o in altre sedi italiane), passaggio ai soggetti che eventualmente subentreranno nel sito ed esodi incentivati tra prepensionamenti (50 i lavoratori vicini alla quiescenza) e uscite volontarie.
I sindacati
L’accordo sembra impossibile. Per Fim, Fiom e Uilm, il piano «traguarda un unico obiettivo: la gestione degli esuberi e la chiusura del sito produttivo. Non siamo interessati a discutere di cassa integrazione, incentivi all’esodo e ricollocazioni in giro per il mondo. La ricerca di un advisor, con il compito di reindustrializzare il sito, appare poi come una vana promessa senza alcun elemento concreto. Il piano è irricevibile». Secondo l’Usb, «solo lo Stato può farsi carico di un processo di reindustrializzazione a garanzia di tutti i posti di lavoro e di un progetto che garantisca la continuità produttiva di settore».
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