Pnlegge, il vincitore del Campiello: «Ai giovani va insegnato il valore della lettura»
A vederlo, con quella matassa di capelli irrequieti, sembra un incrocio tra un anarchico di fine Ottocento e uno dell’Equipe 84. Gente che Bernardo Zannoni non sa probabilmente neanche chi sia. Classe 1995, la “burba” Zannoni al suo primo libro ha sbancato il Premio Campiello.
Un successo reso ancora più vistoso dai numeri anche se non del tutto inaspettato per le gole profonde del premio, che lo davano tra i favoriti. Forse perché Sellerio, che ha pubblicato il suo I miei stupidi intenti, è una garanzia di qualità; o forse perché sta nello spirito dei nostri tempi che la storia di un animale, una faina, che impara a leggere e scrivere e scopre dio e la morte, faccia boom.
Un po’ fumetto disneyano e un po’ “Va dove ti porta il cuore”. Zannoni, che sarà festeggiato oggi alle 21 nella serata inaugurale di Pordenonelegge, vive a Sarzana, tra Liguria e Toscana, a due passi da Bocca di Magra, dove è nato un altro vincitore del Campiello, Maurizio Maggiani.
Ma chi è Bernardo Zannoni? Lo ha raccontato lui stesso, pochi minuti dopo la proclamazione della vittoria del Campiello. Camicia bianca, abito scuro e calze rosse, un bicchiere di vino in mano dice: «Sono uno che le cose non riesce mai a finirle».
In che senso?
«Finito il liceo mi ero iscritto alla scuola Holden, quella di Baricco, a Torino. Non ci andavo mai, ho fatto l’ottanta per cento di ore di assenza. Non mi interessava. E anche questo libro, se non fosse stato per mio padre non lo avrei mai concluso».
Si spieghi meglio.
«Ho sempre avuto il pallino della scrittura, ho scritto anche poesie e canzoni. Quando avevo ventun’anni ho cominciato a scrivere una storia ambientata in un bosco. Poi ci ho messo gli animali, e sapete perché? Per non annoiarmi quando lo scrivevo».
Si annoia quando scrive?
«Più che altro, essendo un figlio della mia generazione ho dei grandissimi deficit di attenzione. Comunque avevo scritto due quinti del libro e a quel punto mi hanno chiamato per fare un documentario. Siccome io, se lascio indietro le cose, poi non le riprendo più, avevo dimenticato la storia.
Mio padre per fortuna mi ha convinto a rimetterci mano. Ha insistito così tanto che dopo un anno che mi assillava ho ripreso la storia e l’ho finita».
E ha vinto il Campiello. Al primo colpo.
«Sono assolutamente scioccato. Non ci ho ancora capito niente. Quello che so è che la mia vita è cambiata al cento per cento».
Cosa fa oltre a scrivere?
«Nella vita? Guardo le cose (ride, ndr). A parte gli scherzi, faccio spesso il cameriere per mangiare, e quando non mangio mi da una mano mia madre che vive a pochi passi da casa mia. Altrimenti faccio altri lavori, per esempio riparo le barche».
Qual è la cosa che secondo lei ha convinto la giuria a far vincere il suo libro?
«Non lo so. Penso che quello che loro hanno capito è una versione di quelle parole che è sicuramente differente da quella che ho inteso io quando le scrivevo».
Lei è uno dei più giovani vincitori del Campiello, allora l’Italia può essere un paese per giovani?
«Sì, se i vecchi se ne vanno. Dobbiamo popolare questo paese di giovani e insegnare loro i valori di leggere, studiare e imparare le cose».
Perché ha scelto come protagonista una faina?
«All’inizio volevo scrivere di una volpe che viveva in un tronco cavo, ma in seguito ho cambiato idea; ho pensato che la volpe è un soggetto troppo usato e che viene raccontata in un modo ben definito, così ho scelto la faina, che invece è un personaggio bianco, senza storia, che pochi conoscono e l’ho adottata per la libertà di inventarla come volevo».