Bugie di guerra
’avevano promesso. In coro. Un sol uomo. Come i giocatori che intonano l’inno nazionale. Mentre i tank cominciavano ad avanzare in Ucraina, i governanti europei tranquillizzavano gli inquieti spettatori. Mosca cadrà presto. E non per l’eroica resistenza di Kiev, ma sotto il peso di devastanti sanzioni. Vladimir Putin, lo spietato invasore, l’avrebbe pagata carissima: default finanziario, banche fallite, aziende agonizzanti, scaffali vuoti. A sei mesi dall’inizio della guerra, l’economia russa supera invece le più ottimistiche aspettative. Per un ovvio motivo: la vendita, a prezzi record, di gas e petrolio. Chi si prepara piuttosto a una catastrofica decrescita è l’Europa. In particolare, l’Italia: razionamenti energetici, galoppante inflazione, futuro tribolatissimo.
Eppure, l’avevano assicurato: stavolta il mefistofelico zar non l’avrebbe scampata. Leader, ministri, commissari. Tutti concordi. Correva, per esempio, il 25 febbraio 2022. A dispetto della cattedra parigina di Scienze politiche, dove potrebbe tornare causa scoppola alle politiche, il segretario del Pd, Enrico Letta, già semina infallibili profezie: «La propaganda russa gioca a far credere che saremmo quelli più danneggiati. È falso». Due giorni dopo, segue vaticinando: «Il blocco dello Swift, il sistema dei pagamenti, alla lunga metterà in ginocchio il loro sistema finanziario». D’altronde, «si tratta delle sanzioni più dure mai comminate». Epilogo scontato e imminente: «In qualche giorno, porteranno al collasso l’economia». Ancora qualche ora di pazienza. Poi, il Cremlino sarebbe crollato. «Le sanzioni metteranno in ginocchio Putin e la Russia, sono sicuro di questo» conclude Letta lo scorso 12 marzo.
La definitiva linea tracciata dal segretario, nonostante le schiaccianti prove contrarie, diventa il verbo democratico. Il turboeconomista Carlo Cottarelli, ormai alabarda piddina, il 25 agosto prorompe: «Mettiamo subito in chiaro una cosa. Le sanzioni stanno funzionando. Eccome!». Quindi, l’aspirante onorevole illumina gli ideologici somarelli che osano dissentire: «In Russia la produzione industriale sta diminuendo e l’economia si indebolisce». Mentre in Italia le cose vanno alla grande: fatturati record, famiglie estasiate, energia in abbondanza. Del resto, già lo scorso 1° giugno, Cottarelli ammansisce: «Si può evitare la recessione».
Anche un acerrimo nemico quale Carlo Calenda, leader di Azione e demiurgo centrista, il 3 aprile 2022 sprizza ottimismo: «Sosteniamo l’Ucraina con ogni mezzo che non determini una guerra diretta» spiega a un malcapitato su Twitter. Quindi, snocciola l’infallibile strategia: «Mettiamo la Russia in ginocchio». Un settimana dopo, lo statista pariolino profetizza: «A dicembre potremo mettere Putin all’angolo». Sicuro come le cartelle esattoriali a settembre. Nonostante i due non si amino, pure Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e leader di Impegno Civico, il 12 marzo scorso, dopo aver definito lo zar un «animale», si avventura nell’ignoto: l’analisi geopolitica. «Ben venga il quarto pacchetto di sanzioni, stanno avendo un impatto clamoroso» prorompe Giggino. Si riferisce all’astuto divieto, deciso da Bruxelles, di esportare in Russia i beni di lusso. «Praticamente, quando dicono che pagano solo in rubli significa che c’è già stato il default» informa l’ex grillino. «Quanto più li indeboliamo, tanto più Putin avrà difficoltà a sostenere guerre». II 29 agosto, rasserena gli impauriti connazionali: «Guardate i Paesi che non hanno imposto le sanzioni: hanno un’inflazione maggiore della nostra. Sono saltati tutti gli schemi economici». Così come salta agli occhi la clamorosa panzana: dall’India alla Cina, il livello dei prezzi è cresciuto molto meno che in Europa.
Anche il pio Mario Draghi ha peccato: incauto ottimismo. Il 31 maggio 2022 loda il sesto pacchetto di sanzioni: «L’accordo è un successo completo». Il 9 giugno conferma: «Ha dato un duro colpo agli oligarchi vicini al Cremlino e a settori chiave dell’economia russa». Il 21 giugno reitera: «Il tempo ha rivelato e sta rivelando che queste misure sono sempre più efficaci». Anzi, rilancia, «ho la sensazione che diventeranno ancora di più quest’estate». Già, l’apoteosi agostana: con il prezzo del gas schizzato a 346 euro al megawattora.
Ma pure il fido Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, da mesi sembra aggrapparsi alle sensazioni. Il 25 maggio tranquillizza: «Non sono pessimista, la nostra situazione in Europa è la migliore». Difatti, siamo quelli che pagheranno di più in bolletta. Eppure, quattro mesi or sono, Cingolani spiega che l’Italia affronterà i prossimi inverni con «una relativa serenità». E persino quando il cielo si fa nero, lui intravede il bagliore: «Al momento la situazione è sotto controllo, il danno è limitato» dice il 16 giugno. Qualche giorno dopo, quel lampo d’ottimismo diventa un accecante raggio: «Siamo quasi fuori pericolo». Quasi, eh. Perfino, quando Gazprom comincia a chiudere il gasdotto Nord Stream, Cingolani fa spallucce: «Il taglio è abbastanza marginale per l’Italia. Entro l’inizio dell’inverno saremo quasi indipendenti dalle forniture russe». Quasi, eh. Invece, siamo ancora al 18 per cento: insomma, un quinto del gas arriva da Mosca. Poco male. Ci penserà allora il salvifico rigassificatore di Piombino a scaldare cuori e piedi degli italiani? Il ministro l’ha promesso per il prossimo gennaio. Bene che vada, comincerà a funzionare in primavera. A termosifoni spenti.
Il cacciaballe più indomito resta però Paolo Gentiloni Silveri, discendente dei conti di Filottrano, Cingoli e Macerata. Già premier in patria, adesso è l’inarrestabile Commissario Ue agli Affari economici. Il 18 marzo 2022 preconizza: «L’impatto delle sanzioni sarà certamente molto rilevante, in questo momento la Russia è a rischio di default». Il 5 maggio ribadisce: «Chi dice che le sanzioni non sono efficaci prende un abbaglio». Il 4 giugno rincara: «Avranno un effetto devastante. La loro efficacia è fuori discussione». Solo il 18 giugno, Gentiloni ode i primi scricchiolii. Anche se lo zar dovesse chiudere i rubinetti, «a livello europeo abbiamo i livelli di collaborazione, stoccaggi e diversificazione per reggere a minacce di questo genere». Solo con gli scellerati filoputiniani che osano notare la crisi che avviluppa il continente, «er Moviola» perde il consueto aplomb: «È sempre facile, per una certa propaganda, dire che le nostre difficoltà economiche dipendono dalle sanzioni» premette sdegnato. «È completamente falso» giura. «Dipendono dall’invasione russa dell’Ucraina e dall’effetto moltiplicatore su trend già esistenti». Comunque, niente paura. Il rude Vladimir è nel sacco: «Possiamo guardare all’inverno senza eccessivo pessimismo» garantisce un mese fa.
Sì, una splendida stagione è alle porte. Il freddo tempra i corpi. La povertà purifica le anime. L’allievo, comunque, potrebbe aver imparato dalla maestra: Ursula von der Leyen. In questi mesi, la presidente della Commissione europea non ha mai smesso i suoi panni color pastello da ottimista. Il 26 febbraio, la condottiera del continente avverte: «Siamo determinati a continuare a imporre costi alla Russia che la isoleranno ulteriormente dal sistema finanziario internazionale e dalle nostre economie». Davvero pensavate che l’Europa avesse bisogno di gas e petrolio da Mosca? Macché. L’illuminata Ursula sa bene come far inginocchiare il perfido zar. «Per prima cosa» annuncia «ci impegniamo a rimuovere dal sistema di pagamento Swift un certo numero di banche russe. Questo bloccherà importazioni ed esportazioni».
Già, «paralizzeremo la macchina da guerra». Il 5 aprile scorso, nel cotonato immaginario presidenziale, Mosca è allo stremo: «I pacchetti di sanzioni hanno colpito duramente il Cremlino. Stiamo vedendo risultati tangibili». L’Europa avanza, la Russia ripiega: «Ora le sanzioni mordono forte l’economia russa» garantisce von der Leyen il 31 maggio 2022, dopo l’embargo al petrolio.
Pure l’altra donna in cima all’Europa, Christine Lagarde, capa della Banca centrale europea, s’è distinta per infallibili profezie. L’ultima è sull’inflazione in Europa. Pensavate dipendesse soprattutto dall’energia? Sbagliatissimo: «È colpa del cambiamento climatico». Inarrivabile resta però Margrethe Vestager, vice presidente esecutiva della Commissione europea, nonché commissario per la Concorrenza. Lo scorso 3 aprile esorta i continentali, da Tarifa a Nuorgam: «Ognuno può fare due cose per dare il suo contributo nella guerra commerciale che si è aperta con la Russia» rivela definitiva. «Controllare la doccia propria e dei teenagers, affinché non ci siano sprechi inutili di acqua calda, e dire mentre chiude il rubinetto: «Putin, prenditi questo!». Che almeno l’afrore possa tramortire il malefico Vladimir.