Karoline porta un pezzo d’America nel Borgo Teresiano di Trieste: «Questa città trasmette amicizia»
TRIESTE Nel cuore di Trieste, tra la chiesa di Sant’Antonio e quella Serbo Ortodossa, si nasconde un pezzetto di America. Si direbbe impossibile ritrovare il Nuovo Mondo proprio in quel borgo antico, fotografia della cultura e della storia mitteleuropea della città. Eppure, laddove il mare si insinua nell’asfalto, se si decidesse di salire al secondo piano del palazzo “della Stella Polare”, si avrebbe l’impressione di prendere un aereo per la terra degli yankees. Qui vi è un appartamento, che in realtà più triestino non si potrebbe: un labirinto di stanze comunicanti, vecchi pavimenti in legno, ampie finestre con vista sul Canale. C’è, però, il contrasto: bandiere a stelle e strisce, vecchi numeri del New York Times, targhe di motociclette che forse percorsero la Route 66 tra Chicago e la California.
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È l’Associazione italo-americana, da oltre cinquant’anni è un pezzo di Stati Uniti a Trieste, promotrice di cultura americana e lingua inglese. «È un’occasione per creare connessioni, imparare una lingua che potrebbe unire persone da tutte le parti del mondo» ci racconta la presidente dell’associazione Karoline Jeane Steckley, americana a Trieste da quasi vent’anni, mossa da una vocazione che nasce nell’intimo: insegnare l’inglese a triestini e stranieri e, proprio nella città d’incontri sul mare, creare così legami, unire comunità diverse. Karoline Jeane Steckley nasce nel 1973 a Brookfield, in Wisconsin, e cresce a Racine, vicino Milwaukee, casa di Happy Days e della Harley Davidson. Una famiglia allargata e numerosa, che le insegna i valori della condivisione: madre maestra di scuola, una sorella maggiore, un fratello gemello, e poi il patrigno, anche lui insegnante, e i due fratelli acquisiti.
Da sempre attratta dalla possibilità di comunicare con il prossimo, finita la high school, la giovane americana si iscrive all’University of Wisconsin-Milwaukee, dove studia lingua e letteratura inglese, francese e portoghese. Dopo un primo contratto in una scuola vicino casa, Karoline lascia la sua piccola cittadina del Midwest, e inizia a girare le due Americhe, insegnando lingue dal Massachhussets al Paraná, in Brasile. È un altro, però, il viaggio che cambia la vita di Karoline: Capodanno 2002, un giro dei Caraibi su una nave da crociera - della Fincantieri, ricorda. E qui, quasi un film, il colpo di fulmine: Cristian Meng, tipico ibrido triestino - famiglia di origini svizzere, padre italiano, madre slovena. Dopo alcuni mesi di amore a distanza, nel giugno del 2003, la giovane americana decide di seguire il cuore fino a Trieste, sposando in piazza Unità il suo Cristian. Qui Karoline viene subito accolta dall’Associazione Italo Americana, impara l’italiano, e inizia a lavorare come libera professionista, tenendo corsi di lingua per l’università e per l’istituto professionale Ciofs, ma soprattutto lavorando all’interno dell’associazione come insegnante, diventandone direttrice e, lo scorso anno, presidente.
L’attività che più la entusiasma, però, è un’altra, che poco ha a che fare con le lezioni o i libri di grammatica. A partire dal 2015, infatti, in collaborazione con il Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics) e con il sostegno del governo statunitense, la sua associazione ha iniziato ad accogliere rifugiati e richiedenti asilo. Persone da tutto il mondo: inizialmente uomini da Afganistan o Pakistan, poi anche donne e bambini e, in tempi più recenti, rifugiati dall’Ucraina. «Iniziammo ad accoglierli. Parlavano lingue diverse tra loro e per questo erano soli ed isolati. Dopo una vita passata a studiare ed insegnare lingue, trovarmi davanti qualcuno senza poter comunicare in alcun modo, non potendone conoscere la storia o le necessità, senza poter essere d’aiuto, fu doloroso. Avevamo bisogno di una lingua comune».
Karoline inizia così ad offrire corsi di inglese per aiutare i rifugiati ad integrarsi nella loro nuova vita: i suoi studenti iniziano a seguire i corsi di lingua, e poi pian piano a frequentare l’associazione anche fuori dall’orario di lezione. Si riuniscono nella biblioteca o nella sala comune, per chiacchierare o vedere insieme un film, o ancora a lavorare come volontari. I rifugiati trovano, grazie a Karoline e le sue colleghe, un posto accogliente. «È una bella opportunità per mettere i rifugiati in contatto e farli sostenere a vicenda, dar loro strumenti per comunicare, e poi promuove la loro integrazione». Un messaggio positivo, di amicizia e solidarietà: rifugiati non come nemici ma come persone in difficoltà che hanno bisogno di essere visti e ascoltati. «Nel mio lavoro, cerco di creare ponti tra le persone. Anch’io sono stata estranea in terra sconosciuta, e sebbene abbia avuto molte meno difficoltà di loro, so quanto importante sia trovare un posto in grado di accoglierci».
E Trieste è stata, per Karoline, proprio questa possibilità. «Se scegli di rimanere in un posto, è perché lo ami. Ed io sono qui, questa è casa mia, ed è diventata casa per tante persone. Ciò che amo di Trieste è la sua capacità di dimostrarti amicizia, darti una possibilità, e accoglierti. Un giorno, scendendo dall’autobus in largo Barriera, e camminando fino al mio studio, mi è capitato di ascoltare, per strada, almeno 13 diverse lingue. Ci sono italiani, sloveni, e poi americani, afgani, indiani, e tanti altri: siamo un’unica comunità. In fin dei conti, prima di essere una lingua, siamo nomi e storie, esseri umani. E, a Trieste, si vive bene assieme».
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