Bella Ciao? No, belli addio
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La canzone che la Pausini si è rifiutata di cantare in Spagna è l’inno di una parte politica che, per convenienza, se n’è appropriata per perpetrare l’uso a scopi partitici della Resistenza.
Ho cominciato a odiare Bella ciao il giorno che l’ho sentita cantare in una serie televisiva in onda su Netflix. La casa di carta è la storia di una banda di rapinatori, che capitanati da un Professore assaltano la zecca di Stato spagnola. Vestiti con una tuta in stile Guantanamo e con una maschera che riproduce il volto di Salvador Dalí, otto banditi prendono in ostaggio gli impiegati dell’istituto. L’obiettivo non è la rapina, ma la stampa di un’ingente somma, che una volta fuggiti attraverso un sotterraneo consentirà ai criminali una vita da miliardari. Cosa c’entra Bella ciao con un colpo criminale? Niente, ma i rapinatori a un certo punto si mettono a cantare le strofe della canzone italiana. La serie, che è stata un successo mondiale ed è arrivata alla sua quinta stagione, da «action movie» qual è a un certo punto prende una piega politicamente corretta e i banditi, tra un amorazzo e l’altro, si trasformano in eroi o quasi, decisi non ad arricchirsi armi in pugno come fanno i delinquenti, ma a combattere una guerra di liberazione contro le banche e il sistema finanziario, ovvero contro il Potere con la «p» maiuscola. Insomma, la storia dell’assalto ai caveaux della zecca spagnola, che volontariamente o meno si rifà a un film del 1959 con Peter O’Toole (Furto alla Banca d’Inghilterra), a un certo punto si trasforma in un polpettone semi politico e i rapinatori in moderni partigiani, con - inutile dirlo - una connotazione positiva che dovrebbe suscitare simpatia.
Ecco, quando ho sentito i banditi cantare Bella ciao, e ho visto l’ispettrice di polizia a capo delle indagini innamorarsi dell’uomo che guida la banda, ho spento il televisore e ho smesso di guardare la serie, ignorandone il finale. Ho sopportato tutto, anche le trovate incredibili degli sceneggiatori, ma l’idea che dei criminali divenissero dei combattenti della Resistenza contro il nuovo fascismo no, non sono riuscito a mandarla giù e nel mio piccolo mi sono ribellato, perché a prescindere da come la si pensi, le brigate partigiane non hanno nulla da spartire con un gruppo di delinquenti comuni, e solo un pubblico di bocca buona, abituato a digerire tutto, anche le più grandi idiozie, può credere che i rapinatori combattano per difendere la libertà e la democrazia dalla dittatura. Ebbene, grazie alla serie spagnola, Bella ciao è diventata una canzone popolarissima in tutto il mondo, al punto che il brano è più conosciuto per La casa di carta che per le sue vere origini. Immagino che tra poco ne usciranno le versioni mixate da discoteca, così sarà possibile ballare sulle strofe del partigiano chiamato a seppellire il compagno in montagna «sotto l’ombra di un bel fior». Inno alla ribellione, tra luci stroboscopiche e musica a palla, per potersi scatenare in pista dopo essersi bevuti un paio di cocktail on the rocks. Vai con la musica e il partigiano, che dopo tutti, ballando al ritmo antifascista, si sentiranno più buoni e dalla parte giusta.
Ciò detto non mi ha stupito che in Spagna, proprio dove è nata La casa di carta, alla richiesta di un conduttore tv di cantare Bella ciao Laura Pausini si sia rifiutata. Se l’avesse intonata, l’interprete di Bellissimo così sarebbe stata eletta a furor di popolo eroina partigiana contro il nuovo fascismo e in Italia l’avrebbero messa nel presepe delle celebrità che per un like in più si sono schierate contro Giorgia Meloni. Pausini canta l’amore, la vita, la solitudine, non la lotta politica: che cosa c’entra la ballata della Resistenza? Che poi, diciamocela tutta: Bella ciao non era un canto partigiano, ma è un’invenzione comunista degli anni Sessanta.
Durante la guerra di Liberazione, nessuna brigata la conosceva. In un’intervista, Giorgio Bocca confessò: «Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare Bella ciao. La prima volta fu al Festival di Spoleto». Il conflitto mondiale era già finito e da quasi vent’anni. Forse, esisteva una Bella ciao delle mondine, che veniva intonata prima di quella a noi nota, ma non si parlava di partigiani, bensì di giovinezza e di lavoro, niente a che vedere con la Resistenza. Lo storico Cesare Bermani, che si è occupato delle origini di quella che è diventata la colonna sonora delle manifestazioni sindacali, ha spiegato: «A metà anni Sessanta, il centrosinistra al governo ha puntato su Bella ciao come simbolo per dare una unità posteriore al movimento partigiano». Insomma, non ci sarebbe niente di vero in quello che ci è stato raccontato, salvo il fatto che nel 1968 Bella ciao è diventata la canzone dei movimenti di estrema sinistra che si rifacevano alla lotta di Liberazione.
Dunque, Laura Pausini ha fatto bene a non cantarla e per quanto mi riguarda continuo a pensare che Bella ciao non possa essere la canzone del 25 aprile, come proposero un anno fa alcuni deputati del Pd, i quali vorrebbero che venisse eseguita alle cerimonie ufficiali. È l’inno di una parte politica, la quale per convenienza se n’è appropriata per perpetrare l’uso a scopi partitici della Resistenza. Belli addio.