Anna Bonaiuto, l’attrice partenopea di Latisana che non ha mai vissuto a Napoli
foto da Quotidiani locali
TRIESTE Uno degli aggettivi che più spesso le vengono attribuiti è “intensa”. Al cinema o a teatro, qualsiasi personaggio interpreti diventa vivo e reale. Anna Bonaiuto è una delle attrici che hanno fatto grande il cinema e il teatro italiano a cui sono stati conferiti numerosi premi come il David di Donatello, la Coppa Volpi, il Nastro d’Argento, il Globo d’Oro e il Premio Ubu. Nonostante il suo nome venga spesso legato alla scuola Napoletana, è in realtà nata in Friuli Venezia Giulia, a Latisana.
Da dove nasce questo fraintendimento?
Io non ho mai vissuto a Napoli. Mio padre però era napoletano e ho lavorato molto con registi come Mario Martone o Toni Servillo entrambe partenopei, perciò ho una familiarità con questa lingua. In un certo senso mi sento bilingue: posso recitare Goldoni con la stessa facilità con la quale affronto Eduardo. Eppure mi sono mai sentita napoletana, perché non ho mai vissuto stabilmente lì, ma adoro la città e ci sono andata tantissime volte.
Cosa ricorda degli anni passati in Friuli Venezia Giulia?
Ricordo i giochi all’aperto in compagnia. Di Latisana ricordo un paese pieno di bambini che giocavano con me, che allora abitavo in un ex convento con un cortile a nostra disposizione. Non sono mai stata sola. Oggi infatti quando vedo i bambini che stanno a casa da soli e non hanno gli spazi in cui giocare mi fanno tristezza. Poi ho frequentato il liceo Stellini di Udine, che era un liceo importante, avevo dei professori molto buoni, ovvero severissimi, ma questo ci spronava a studiare e a dare il massimo. Molti degli studenti di quella scuola hanno avuto delle belle carriere. Con il senno di poi penso che tutto questo sia stato importante. Ancora oggi, quando mi capita di tornare a Udine sono felice, perché posso rivedere piazza Primo Maggio, dove c’era la mia scuola oltre che il Castello. Forse allora non mi ero accorta di quanto fosse bella. Finito il liceo sono venuta a Roma, per studiare all’Accademia d’Arte Drammatica e sono rimasta qui.
E Trieste?
Sono sempre contenta quando ci torno. Mio papà ci portava spesso a Trieste: è una città meravigliosa, ma quello si sa. Presto ci tornerò per girare il sequel la serie Il Re con Luca Zingaretti per la quale gli esterni sono girati tutti in città, con le sue belle strade, il porto e il mare.
Ha mai lavorato su qualche testo di Pier Paolo Pasolini?
La scorsa estate ho interpretato uno spettacolo che si intitolava Porno Teo Kolossal, la sua ultima sceneggiatura, che non è mai diventata un film. Ma io sono molto legata alla mente di questo uomo. Il suo pensiero, secondo me, deve ancora essere capito fino in fondo.
Fin da piccola ha sempre desiderato fare l’attrice. Oggi, dopo una bellissima carriera, che effetto fa vivere il sogno?
Sono stata fortunata o forse ho avuto tanta forza. Tutti dovrebbero avere un sogno. Coltivare le gardenie, costruire case, non importa quale sia. Io vivevo ai confini dell’Italia, il traguardo sembrava difficile, quasi irraggiungibile, ma questo aumenta la determinazione di chi vuole raggiungere il proprio obiettivo. E io quello volevo fare e alla fine lo ho fatto. Chissà, forse mi ha ispirato anche il fatto di avere un padre che faceva l’insegnante e che ogni sera ci leggeva dei libri. Amava raccontarci l’Iliade, l’Odissea, l’Orlando Furioso, storie magnifiche. E poterle ascoltare raccontate da qualcuno era meraviglioso. E così, il gioco, il travestimento che si fa da piccoli mi ha portata a realizzare che avrei potuto raccontarle anche io. E per poterlo fare… devi fare l’attore.
C’è un libro che porta nel cuore?
Si chiamava PEM, Piccola Enciclopedia Mondadori. Ricordo che sfogliavo questo libro pesantissimo, scritto in piccolo, e ho iniziato a leggerlo piano piano dalla A di Abaco con l’intento di arrivare alla Z. Volevo sapere tutto, sono sempre stata molto curiosa.
E lei racconta molte storie, anche attraverso gli audiolibri.
Ne ho fatti tanti, davvero. E sono libri belli. Anna Karenina, Suite Francese, Anime Morte di Gogol. Spesso li ho riscoperti per consegnarli ad altri. Quello che è importante, per chi fa questo tipo di lavoro, è cercare di ridare non se stessi, non il proprio ego, ma di trasmettere il senso di quello che c’è scritto, intuendo il tono che gli è stato conferito dall’autore e senza sovrapporsi a lui.
Con quale dei molti registi con i quali ha lavorato si è trovata meglio?
Con chi mi ha insegnato qualcosa. Ci sono quelli come Luca Ronconi, Carlo Cecchi e Toni Servillo che mettono l’attore al centro dello spettacolo. E io da loro ho rubato un po’ di cose. Il rapporto tra noi è quello di chi sa che in teatro c’è una gabbia creata dal regista in cui devi essere libero, creativo, concentrato, non vanitoso e non narciso. Per creare un personaggio ci deve essere una fusione di corpo, sentimento e ragionamento e razionalità.
A cosa sta lavorando in questo periodo?
A un film che è l’opera prima di Francesco Frangipane e poi riprenderò la tournée con la compagnia Fanny and Alexander su una drammaturgia di un romanzo di Nadia Terranova e sarò al Piccolo di Milano diretta da Pascal Rambert. Ho molte cose da fare ma continuerò anche le mie letture all’università. A Bologna leggo Seneca, a Napoli Leopardi e poi ho un progetto su Benedetta Tobagi tra Torino, Milano e Roma con un testo ancora inedito.