Karl Wilhelm Diefenbach, l’artista ribelle che dipinse Miramare come un fantasma e poi andò a Capri
TRIESTE Se ne andava per le strade di Monaco e di Vienna a piedi scalzi, vestito di una lunga tunica bianca, con barba e capelli lunghi; intendeva testimoniare la necessità di uno stare al mondo diverso, più semplice, più autentico. Karl Wilhelm Diefenbach era nato il 21 febbraio del 1851 a Hadamar, nella regione tedesca dell’Assia. Suo padre Leonhard professore di disegno nel liceo locale e lui stesso pittore riconosciuto, è stato il suo primo maestro.
All’età di vent’anni, volendo iscriversi all’Accademia di Belle Arti, si trasferisce a Monaco di Baviera, trovandosi a risiedere nel quartiere di Schwabing, il quartiere degli artisti. In quegli stessi anni, a Monaco, si trovava pure il pittore simbolista Arnold Böcklin al quale Diefenbach mostrerà di ispirarsi sia per i temi che per lo stile. Colpito da una grave forma di febbre tifoide rimane per due anni ricoverato in ospedale; abbandona quindi gli studi all’Accademia e inizia ad interessarsi di filosofia e teosofia, scegliendo un modello di vita improntato al pauperismo e al libero amore. Diventa l’antesignano del “Lebensreform” (letteralmente “riforma della vita”), un movimento culturale che si afferma in Germania tra Ottocento e Novecento, contrapponendo alla società urbana e industriale contemporanea uno stile di vita anticonvenzionale, sostenenendo valori quali il ritorno alla natura, il nudismo, il vegetarianismo, lo spiritualismo, il pacifismo.
Nel febbraio del 1882, in cerca di risposte ad una grave crisi interiore, si reca a meditare sulle vette delle Alpi bavaresi e ha una visione in cui gli appare la madre avvolta dalla luce del sole ad indicargli la strada da seguire. Lo stesso giorno traduce quella visione in un racconto poetico dove il sole diviene insieme entità consolatoria e profetica, guida per liberare l’umanità dal buio delle illusioni e luce per raggiungere la verità. Gli stessi concetti verrà quindi ad esprimere anche figurativamente in un lungo fregio di silhouettes danzanti e musicanti, con bambini e animali più o meno esotici, intitolato “Per Aspera ad Astra”.
Molti giovani affascinati dal suo esempio e dalle sue parole, iniziano a seguirlo laddove le autorità lo contrastano fortemente scagliandogli contro una campagna denigratoria nei confronti sia della sua persona che della sua arte, proibendogli di parlare in pubblico, definendolo un pazzo sobillatore. Nel 1885 sceglie una cava abbandonata, la Steinbruchhaus di Höllriegelskreuth nella valle dell’Isaar, per fondare la sua prima comune insieme alla moglie, l’infermiera che lo aveva in cura a Monaco, e i loro tre figli Helios, Stella e Lucidus. Volendo unire arte e vita, avvia un laboratorio artistico. Quando i membri della comune vengono sorpresi a prendere il sole nudi, l’artista deve affrontare il primo processo per nudismo della storia tedesca. La condanna al carcere viene commutata in una pesante ammenda, andando ad aggravare la sua già precaria condizione economica. Nel ‘92 Difenbach decide di spostarsi a Vienna dove sembra venir accolto con maggiore favore, almeno in un primo tempo. Espone all’Österreichischer Kunstverein ottenendo un grande successo di pubblico e di critica, ma senza ricavarne nulla in termini di profitti. Senza perdersi d’animo fonda, una nuova comune poco distante da Vienna, a Himmelhof nell’Ober St. Veit, chiamandola “Humanitas” e pensando di dare lo stesso nome ad una rivista che avrebbe dovuto diffondere le sue idee, le sue poesie, i suoi pensieri. Tra i membri della comune di Himmelhof c’erano vari artisti di varia provenienza come Hugo Höppener, che lui rinominerà Fidus, suo allievo e collaboratore, Frantisek Kupka e Gusto Gräser che proprio sul modello di “Humanitas” fonderà “Monte Verità” ad Ascona, in Svizzera.
Nel giugno del 1895, anche per sfuggire a nuovi dissidi, parte per l’Egitto dove, affascinato dalla solitudine del deserto, progetta di costruire il tempio di “Humanitas” che avrebbe avuto la forma di un’enorme sfinge. Costretto dalle necessità economiche a ritornare a Vienna, vi tiene ancora una mostra prima di arrivare a Trieste nel 1899, con il desiderio di ripartire nuovamente per l’Africa o per l’Oriente. A Trieste ripropone l’ultima mostra tenuta a Vienna l’anno precedente con i suoi dipinti e le sue silhouettes, ottenendo positivi riscontri. Ad apprezzarlo sarebbe stato anche l’allora direttore del Lloyd Austriaco il quale, in cambio di un fregio di 70 metri da collocare sul nuovo piroscafo “Erzherzog Franz Ferdinand”, è disposto ad offrirgli gratuitamente il viaggio fino in India. L’artista sembra inizialmente attratto dalla proposta ma poi cambia idea e decide di andare all’isola di Capri. Vi giunge nel dicembre dello stesso 1899 e lì rimarrà fino alla fine dei suoi giorni.
“Capri –scriverà Diefenbach– mi basterà per tutta la vita con queste aspre rupi che adoro, con questo mare tremendo e bellissimo benché, in verità, io soffra il martirio del boicottaggio dei miei connazionali che venendo qui muovono contro di me vergognose accuse di immoralità ed empietà”.
L’isola con il suo mare, i suoi faraglioni, la sua natura selvaggia si trasformano nelle sue pitture in cupi paesaggi nordici, bökliniani, dove il colore denso, bituminoso, in cui si mischiano sabbia e frammenti rocciosi, lascia trasparire inattese e irreali luminosità. In ricordo del suo soggiorno triestino l’artista dipinge anche il Castello di Miramare, immergendolo in un’atmosfera irreale, quasi spettrale, in una luce fredda, lunare, che immobilizza la superficie dell’acqua ponendo l’accento sull’apparizione di Cristo crocifisso. Dipinge pure la grotta di Carlotta trasformando la cavità sulla parete dello scoglio che divide il parco dal porticciolo di Grignano, in ignota porta verso l’infinito. Karl Wilhelm Diefenbach muore il 13 dicembre 1913, per un attacco di peritonite. —
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