Settore dell’artigianato in affanno: a Trieste mancano 430 operai specializzati
TRIESTE Enrico Eva, segretario generale di Confartigianato Trieste, è reduce da un gran premio di incontri su uno dei numerosi argomenti spinosi di categoria e quindi è in grado di smazzare dati di prima mano. Tema: “cercasi manodopera specializzata”. Tallonato dalle cifre: matita sul foglio, Eva somma le carenze triestine che rimarcano un deficit di 430 lavoratori, uno più uno meno, definibili dal punto di vista professionale “doc”.
Scendiamo nel dettaglio. Nell’autoriparazione mancano meccatronici, lamieristi, verniciatori: scusate se è poco, è un mezzo miracolo che circoli ancora qualche vettura. Alle grandi filiere dei fabbri e dei serramentisti difettano in maniera ormai cronica saldatori e operatori per macchine a controllo numerico. Per quanto riguarda l’installazione degli impianti, irreperibili i cosiddetti “bruciatoristi”, esperti nella generazione di calore. E solo questi tre comparti necessiterebbero, secondo le esigenze raccolte da Eva, di 250 profili.
L’edilizia, nonostante sia un settore in prima linea trainata dai vari bonus, non trova il tradizionale “capo-mastro”, tant’è che ne richiede 100 per mandare avanti i cantieri. Sembra che preparare il pane di notte non affascini più la gioventù, poiché i forni languono pretendendo 30 addetti.
A cavallo tra le varie categorie un’importante assenza che il segretario confartigianale classifica “trasversale”: le aziende faticano a reclutare dipendenti con la “patente C” ovvero in grado di guidare mezzi che oltrepassino il livello di un furgone.
Insomma, è il duro mestiere di artigiano al giorno d’oggi: non bastavano la Tari e le bollette, adesso c’è anche la difficoltà di arruolare lavoratori qualificati. Perché - puntualizza Eva - il problema non è tanto trovare operai generici, ma di alzare l’asticella qualitativa.
Una questione-chiave che, per la verità, non riguarda solo Trieste e il Friuli Venezia Giulia - l’altro giorno l’allarme del presidente Fvg Graziano Tilatti -, ma abbraccia il vicino Veneto, che si trova in condizioni forse addirittura peggiori.
Il problema nel problema è che nell’immediato-breve periodo non ci sono grandi ricette per venire a capo della penuria di personale specializzato. Eva ritiene che la strada dell’importazione dall’estero non sia praticabile perché quella tipologia di operatore è di arduo reperimento anche nei Paesi vicini.
La soluzione di prospettiva - a giudizio del manager confartigianale - potrebbe essere un’azione sui ragazzi e sulle famiglie per indurle a orientare il giovane verso una formazione tecnico-professionale, di cui il territorio ha forte occorrenza: ma sarebbe comunque un processo di lunga durata e le imprese non hanno tutto quel tempo per aspettare che cambino i gusti degli adolescenti.
Sempre secondo Eva, una possibilità, per attenuare il bisogno di questa manodopera specializzata, sarebbe l’utilizzo di artigiani esperti, avviati verso la quiescenza, per formare i giovani desiderosi di cominciare il prima possibile a lavorare e a guadagnare: l’iter potrebbe passare attraverso la collaborazione finanziaria della Regione.
Ma anche battendo questa strada, si dovrà fare i conti con le inclinazioni giovanili, che in questi tempi sembrano preferire attività terziarie a minor tasso di fatica. Certo, è paradossale che in una fase ad alta criticità economico-sociale come questa, buone opportunità di lavoro rischino di restare inesplose. Vuol dire che ci faremo riparare auto e caldaie al bar o al ristorante.